IL PUNTO SUL PIANO EUROPEO CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
di Giacomo Talignani, Repubblica. LA sensazione è che il primo attacco al Green Deal, nella prova del nove della plenaria all’Europarlamento, sia fallito. Il voto di ieri a Strasburgo che ha permesso il passaggio della Nature Restoration Law – norma che punta a ripristinare il 20% delle aree marine e terrestri d’Europa entro il 2030 – era un test su più fronti. Da una parte il tentativo delle destre europee, e in particolare del Ppe, di comprendere i veri numeri della maggioranza e quanto la guida di Ursula von der Leyen fosse ancora salda, in vista delle elezioni europee. Dall’altra è apparso un nuovo colpo diretto al vero cuore delle politiche europee: il Green Deal.La Nature Restoration Law è solo uno dei tasselli del più grande piano da 1000 miliardi presentato nel 2019 – il Green Deal – che punta ad arrivare al 2050 a zero emissioni nette attraverso una serie di leggi e pacchetti.
Già incassate e operative ci sono per esempio la strategia Fit For 55 per arrivare al 55% di riduzione delle emissioni nel 2030 rispetto ai livelli del 1990. Contiene normative approvate che vanno dalla revisione del sistema di scambio di quote di emissioni sino alla modifica del regolamento sulle emissioni di CO2 di auto e furgoni, passando per direttive su energie rinnovabili, infrastrutture, edilizia. Oppure le strategia Farm to Fork per centrare la neutralità climatica nel mondo alimentare, o ancora i piani d’azione per l’economia circolare, la transizione energetica, la tassonomia sugli investimenti verdi.
L’intero processo, oltre che prevedere l’uso di ben oltre un terzo dei fondi dell’Ue, implica sforzi oggi, per ottenere benefici in futuro. Impegni che però, nella narrativa di una parte politica, non vanno bene se toccano gli interessi di determinati settori, come l’agricoltura: per questo ora le destre fanno leva proprio sulla riuscita e l’utilità del Green Deal.
Già, ma a quasi 4 anni dal lancio, a che punto è il piano verde?
Per Mauro Albrizio, direttore dell’ufficio europeo di Legambiente a Bruxelles, «rispetto alla proposta iniziale del piano, siamo a due terzi compiuti. La parte mancante è, per certi aspetti, ancora quella climatica: l’obiettivo è arrivare a ridurre le emissioni nette del 55% entro il 2030. Ma, se vogliamo centrare gli Accordi di Parigi, dovremmo arrivare a 65%». Oggi, dicono i dati del 2021, siamo intorno al 33% di riduzione delle emissioni. «Ma quel che importa è che sia stata costruita la strada per andare avanti. Di sicuro ora bisognerà vedere come la Nature Restoration Law arriverà al trilogo in autunno e poi se si giocheranno nuove partite su un comparto delicato, l’agricoltura. Poi a dicembre c’è la Cop28: severranno fissati target su rinnovabili, efficienza energetica e uscita dalle fonti fossili, il Green Deal diventerà ancor più importante in campagna elettorale».
Anche per Davide Panzieri, responsabile programma Europa di ECCO, think tank italiano per il clima, ormai «la maggior parte dei pacchetti del Green Deal è già stata approvata. Rimangono fuori l’Industrial Plan che riguarda le aziende e la riforma del mercatoelettrico. Al netto di questo, il grosso di Fit For 55 è già delineato per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e dunque l’impalcatura – seppur non del tutto allineata con Parigi – funziona: è credibile soprattutto perché coniuga decarbonizzazione con economia e sociale. Questa è la chiave: l’Europa, con l’aggiunta della Nature Restoration Law, ora mostra a livello internazionale cosa si può fare. La transizione è un’opportunità enon un costo».
Per proseguire il Green Deal dovrà avere «la garanzia di una guida forte» e «recuperare il ritardo nel taglio delle emissioni – chiosa Panzieri – Ora abbiamo la mappa e la struttura: ogni Paese, dalla natura alle rinnovabili, dovrà implementare il piano e centrare gli obiettivi. Per l’Italia, ad esempio, conteranno soprattutto il Pniec e il RepowerEu del Pnrr».