In quest’ottica, osserva Andrea Garnero, economista Ocse e tra gli estensori dello studio, sempre più decisivo sarà il ruolo della contrattazione collettiva per poter mitigare la perdita di potere d’acquisto dei lavoratori e al tempo stesso garantire una più equa distribuzione dei costi dell’inflazione tra imprese e lavoratori, evitando una spirale prezzi-salari. La situazione resta, certo, sott’osservazione: in Italia i salari fissati dai contratti collettivi sono diminuiti in termini reali di oltre il 6% nel 2022. Ma se con le attuali regole contrattuali legate all’indicatore Ipca al netto dei beni energetici importati, i minimi tabellari potranno recuperare parte del terreno perduto nei prossimi trimestri, uno scoglio è rappresentato dai ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi, specie terziario e pubblica amministrazione (non a caso il 50% dei lavoratori è coperto da un contratto scaduto da oltre due anni) che rischiano di prolungare la perdita di potere d’acquisto per molti lavoratori. «Oltre alla contrattazione – ha aggiunto Garnero – in Italia è necessario affrontare il costo che comporta il drenaggio fiscale per chi un rinnovo riesce ad ottenerlo. Fermo restando che nel medio periodo solo un aumento della produttività potrà far crescere strutturalmente i salari».
Allargando lo sguardo al mercato del lavoro anche il focus dell’Ocse segnala un rallentamento nel corso del 2023, dopo i buoni risultati del 2022, legato al rallentamento economico. A maggio, il tasso di disoccupazione in Italia è sceso al 7,6%, due punti percentuali in meno rispetto a prima del Covid, ma ancora significativamente sopra la media Ocse del 4,8%. Anche l’occupazione totale è aumentata nell’ultimo anno, con un incremento dell’1,7% a maggio 2023 rispetto a maggio 2022. Tuttavia, il tasso di occupazione italiano rimane ben al di sotto della media Ocse (61% contro 69,9% nel 1° trimestre 2023). Secondo le proiezioni dell’organizzazione parigina, nei prossimi due anni il mercato del lavoro rimarrà sostanzialmente stabile, con una crescita dell’occupazione totale inferiore all’1% sia nel 2023 che nel 2024.
Una battuta infine su automazione e Intelligenza artificiale. Le professioni più a rischio di automazione restano quelle meno qualificate. E qui siamo più o meno in linea con le medie internazionali: il 30,1% dei lavoratori in Italia è occupato in professioni a più alto rischio di automazione, rispetto a una media Ocse del 27%.