Per la seconda volta in due settimane, la commissione Ambiente si è divisa su un testo emendato relativo alla proposta presentata a suo tempo dalla Commissione europea: 44 parlamentari a favore (socialisti, verdi e sinistra radicale), e 44 parlamentari contrari (conservatori, popolari, euroscettici). Divisi i liberali. A metà luglio, la plenaria sarà chiamata a esprimersi su una mozione che propone al Parlamento di respingere tout court la proposta dell’esecutivo comunitario.
In caso di rigetto, l’iter legislativo si interromperebbe. Nel caso invece la mozione non andasse in porto, nuovi emendamenti verrebbero valutati in plenaria, in modo da consentire al Parlamento di avere una propria posizione negoziale con cui affrontare il negoziato con il Consiglio. I governi hanno trovato una loro posizione negoziale la settimana scorsa, malgrado il voto negativo di alcuni paesi, tra cui l’Italia e l’Olanda (si veda Il Sole 24 Ore del 21 giugno).
Secondo il proposto regolamento, entro il 2030 il 20% delle terre e dei mari a livello europeo deve essere oggetto di un recupero per meglio tutelare la biodiversità. «Il nostro provvedimento prevede che i governi debbano presentare un piano nazionale di tutela della natura, ma lascia loro libertà su quali degli ecosistemi agire. Non è assolutamente obbligatorio agire su terre in mano ai privati», aveva detto in maggio il commissario all’Ambiente Virginijus Sinkeviius.
Il presidente della commissione Ambiente, il liberale francese Pascal Canfin, ha accusato il capogruppo popolare Manfred Weber di avere inviato in Commissione, al momento del voto, deputati Ppe contrari al testo: «Lo stesso non potrà fare in occasione del voto in plenaria», ha detto, mettendo in dubbio la compattezza del Ppe. Sottolineando che l’esito del voto in plenaria è aperto, l’uomo politico ha ricordato che «una maggioranza dei paesi a guida popolare ha votato a favore della posizione negoziale del Consiglio».
La vicenda è sintomatica di una crescente disaffezione nei confronti dei provvedimenti nati con il Patto Verde: criticate di recente anche la fine del motore inquinante dal 2035 e le misure di efficienza energetica degli edifici. In un anno di campagna elettorale, a preoccupare sono gli oneri per la mano privata, anche in termini di rendicontazione. Imbarazzata poi è la stessa presidente (popolare) della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che del Patto Verde ha fatto un suo cavallo di battaglia.
Il voto in commissione Ambiente del Parlamento europeo «conferma che le riserve espresse dall’Italia erano fondate e condivise», ha commentato ieri il ministro dell’Ambiente italiano, Gilberto Pichetto Fratin, che ha aggiunto: «Siamo stati tra i pochi paesi, in sede di Consiglio, ad avere votato contro il testo ritenendolo inadeguato e per molti versi inattuabile».