La Stampa. I governi degli ultimi vent’anni hanno sempre ritenuto la salute una spesa anziché un investimento, ma bisogna ricordare che senza salute non c’è neanche crescita economica. Però bisogna stare attenti a non richiedere solo i soldi, l’Inghilterra spende molto più di noi ed è in peggiori condizioni. Quindi in realtà è giusto chiedere più risorse ma va chiarito per fare cosa». Il professor Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri e molte altre cose, chiede innanzitutto che la difesa del servizio sanitario diventi una battaglia nazionale. Ma pretende chiarezza: «Chi chiede più investimenti è responsabile del fatto che il Ssn in questi anni ha fondamentalmente alimentato il grande mercato della medicina. Certamente abbiamo farmaci migliori e curiamo malattie che prima non era possibile curare, non c’è dubbio che ci siano stati progressi ma ci siamo dimenticati che molte malattie sono evitabili. Ci siamo dimenticati il grande capitolo della prevenzione».
«Per tornare indietro ci vuole una grande rivoluzione culturale, altrimenti si continuerà con lo spirito di aumentare il mercato. Ci sono tantissime cose che si possono fare. Il diabete di tipo 2 per il quale abbiamo 3,5 milioni ammalati è evitabile, quasi il 50% dei tumori è evitabile eppure abbiamo 180 mila persone all’anno che muoiono di tumore. Bisogna occuparci dell’ambiente, dell’inquinamento. Abbiamo ancora 12 milioni di fumatori e sappiamo che l’alcol è cancerogeno. Non facciamo abbastanza attività fisica e l’obesità cresce. E non facciamo abbastanza screening per i tumori per prenderli all’inizio. Ecco, io dico chiediamo più soldi ma facciamolo per ridurre le malattie, non per continuare con questo trend».
Oggi il privato vale oltre la metà del pubblico e i medici scappano dal Ssn perché sono mal pagati e oberati di lavoro.
«I medici ospedalieri sono dipendenti dello Stato mentre i medici di medicina generale sono dei professionisti e fanno quel che vogliono, dovrebbero essere anche loro dipendenti del Ssn perché non saremmo più costretti ad avere ambulatori con 15 ore alla settimana e avremmo medici per realizzare le case di comunità. C’è poi il problema della differenza tra quanto spendiamo noi e la media europea. In Italia gli stipendi sono inferiori del 40%. Inoltre va abolita l’intramoenia che è una grande ingiustizia: chi ha i soldi ottiene una visita il giorno dopo e chi non li ha è costretto ad attendere mesi. Rischiando la vita. Assumendo e pagando meglio medici e infermieri possiamo ridurre le liste di attesa. Ma potremmo avere grandi risparmi potremmo anche razionalizzando l’uso dei farmaci».
«Intanto se facciamo prevenzione riduciamo il numero di farmaci, inoltre abbiamo una lista di prodotti eccessiva, sono trent’anni che non viene “pulito” il prontuario farmaceutico nazionale. L’ultima volta risale al 1993. Abbiamo un mucchio di farmaci che sono completamente inutili, fotocopie di altri. Medicine che alimentano solo il mercato ma non portano niente di nuovo per i pazienti».
Le Regioni rimborsano le prestazioni in convenzione nel privato a un tariffario molto più alto di quello che lo stesso privato applica agli assistiti paganti.
«Esiste la confusione più assoluta da questo punto di vista. Gli sconti che vengono fatti sui farmaci sono diversi tra le Regioni. Paghiamo farmaci equivalenti a prezzi differenti. Se non si fa una revisione del prontuario farmaceutico non ne usciamo. E poi non c’è un’informazione indipendente. Come è possibile che i medici continuino ad accettare l’idea che tutta l’informazione che ricevono arrivi da chi vende qualcosa? Mettiamo in piedi un’informazione indipendente».
In questa confusione cosa accadrà con l’autonomia differenziata?
«Sarà un altro problema con grandi conseguenze, peggiorerà la situazione con un’Italia sempre più a macchia di leopardo. La situazione socio sanitaria è grave, reddito e scolarità sono fattori di rischio. E questo è contro la Costituzione. Il privato doveva essere un supporto del Ssn ma oggi vale la metà del pubblico con l’aggravante che lasciano allo Stato le prestazioni meno remunerative e più complicate».
Pensa che riusciremo a salvare il servizio sanitario nazionale?
«Dobbiamo farlo pensando ai nostri figli e nipoti. Dipende da quanto tutti noi premiamo sui politici perché si decidano a farlo. Deve diventare una battaglia pubblica, dobbiamo lavorare molto sulle associazioni femminili perché le donne ricevono farmaci che sono stati studiati solo sui maschi e sono fortemente penalizzate. Se non si fanno ricerche continueranno a essere penalizzate. Le ricerche che si fanno da istituti che non hanno scopo di lucro costano molto meno di quelle farmaceutiche. Bisogna fare un piano di investimenti per cose specifiche. Il Ssn è molto importante perché nessuno avrebbe i soldi per pagarsi un trapianto cardiaco. Infine dobbiamo togliere il servizio sanitario dalle regole della pubblica amministrazione perché i medici perdono un sacco di tempo a fare lavori che non sono compito loro. Bisognerebbe dare agli ospedali un budget annuale del quale rispondano a fine anno».