Infatti la sostituzione nel 2022 di Quota 100 (uscita con 62 anni d’età e 38 di versamenti) con Quota 102 (64 anni d’età e 38 di contributi) e l’introduzione dall’inizio del 2023 di Quota 103 (62 anni d’età e 41 di contribuzione) ha già prodotto una significativa frenata delle uscite anticipate. Lo ha evidenziato l’ultimo monitoraggio Inps su i flussi di pensionamento del primo trimestre del 2023. Secondo la rilevazione dell’Inps, nel primo trimestre del 2023, sono stati erogati complessivamente 174.610 trattamenti, segnando una diminuzione del 26,22 % rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Di cui meno del 30 % (51.583) sono riconducibili a forme di trattamento anticipato. In particolare, per la gestione dei lavoratori dipendenti, la percentuale di uscite anticipate è del 36 %, mentre per la gestione dei dipendenti pubblici questa percentuale sale al 44 %. Questi dati indicano che la Quota 103 ha avuto un impatto significativo sulla scelta dei lavoratori di prolungare la loro attività lavorativa, probabilmente a causa dei requisiti più stringenti richiesti per accedere all’uscita anticipata. Le cifre del 2023, da gennaio a marzo, sono le seguenti: 65.137 trattamenti di vecchiaia; 51.583 trattamenti anticipati; 8.167 trattamenti di invalidità; 49.723 trattamenti ai superstiti.
Il monitoraggio dell’Inps, ha evidenziato che nel primo trimestre del 2023 l’importo medio delle pensioni liquidate è di 1.111 euro al mese. Tuttavia, ci sono delle differenze significative tra gli assegni percepiti dagli uomini e quelli percepiti dalle donne. Infatti, l’assegno medio per gli uomini è di 1.357 euro al mese, mentre per le donne si attesta a 904 euro al mese, con una differenza del 33,38 % in meno rispetto a quello degli uomini. Sono solo 17.111 gli assegni anticipati per le pensionate a fronte dei 34.472 della controparte maschile. Anche per questa categoria di trattamenti si nota una disparità. La cifra media percepita dalle donna è più bassa di un quinto: 1.527 euro contro i 2.043 euro degli uomini.
Il gender gap pensionistico è dovuto principalmente al fatto che le donne versano meno contributi a parità di età anagrafica a causa di impegni lavorativi meno costanti nel tempo. Rinunciare alla carriera per la famiglia, sia quando viene programmato l’arrivo di un figlio, sia quando si verificano imprevisti ed emergenze, come nel caso di malattia di un familiare.
Numeri in calo vertiginoso per quanto riguarda le richieste di pensionamento con Opzione donna, che sono estremamente basse, con soli 151 casi nel primo trimestre del 2023, rispetto alle 4.185 dello stesso periodo del 2022. Questa tendenza è ovviamente influenzata dalla stretta introdotta dall’ultima legge di bilancio sulla Opzione donna che di fatto ha reso impraticabile questa opzione.
Possono infatti, usufruire di Opzione Donna, nel 2023, solo le lavoratrici in situazione di svantaggio con 60 anni di età e 35 anni di contributi, ovvero quelle che fanno parte delle seguenti categorie: care giver che assistono da almeno 6 mesi il coniuge, il partner o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità o un parente o affine di secondo grado convivente; persone con invalidità civile superiore o uguale al 74% con ridotta capacità lavorativa; essere dipendenti o licenziate da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale. Sul problema delle difficoltà introdotte per questo tipo di uscita anticipata si è fatto carico anche lo stesso Governo che, sembra, stia valutando le restrizioni previste inserendo alcuni correttivi più favorevoli.
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