«Così non si può andare avanti, servono le risorse». Filippo Anelli, presidente nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, va al nocciolo del problema: «La priorità è affrontare la carenza di personale, senza i professionisti è difficile immaginare un servizio sanitario nazionale. Bisogna investire più del 9% del Pil come fanno in Francia e in Germania, noi invece nel 2024 scenderemo al 6,3%».
I medici vanno pagati di più?
«Certo, fanno turni abnormi e per questo scappano nel privato. Siamo i peggio pagati in Europa. I professionisti non sono i nemici del sistema, sono coloro che possono risolvere i problemi. Oggi, incredibilmente, molte Regioni fanno la guerra ai medici».
Perché nemici? A cosa si riferisce?
«Le Regioni vogliono una limitazione della loro autonomia e li ritengono responsabili dell’aumento della spesa farmaceutica. Per non parlare dei medici di famiglia, costretti ad avere 1.200 pazienti, in alcune regioni arrivano addirittura a 1.300-1.500».
È questa la ragione della fuga nel privato?
«Nel privato i turni sono più umani, il medico è considerato tale, le sue scelte non sono messe in discussione, si lavora meglio in team e si è in numero sufficiente per fare ognuno il proprio lavoro».
Il Servizio sanitario nazionale rischia di saltare?
«Le preoccupazioni sono molto forti, le abbiamo espresse da tempo. Occorre rendere più attrattivo il sistema, perché in realtà i medici in Italia ci sono, i numeri ci dicono che noi abbiamo 4 medici ogni mille abitanti, in Europa ce ne sono mediamente 3,8, negli Stati Uniti 3,5. I medici ci sono ma preferiscono andare altrove: all’estero, nei privati e facendo i gettonisti. Così diventa difficile reggere la richiesta di salute del 40% degli italiani che sono soggetti cronici».
Qual è il problema dei “gettonisti”?
«Molti medici lasciano il sistema perché non ce la fanno più, così gli ospedali si trovano senza personale e devono chiamare i sanitari in libera professione per coprire i turni».
Il governo non era già intervenuto per limitare questo fenomeno?
«Ci ha provato con una misura di un decreto che durante il passaggio parlamentare è stata modificata. Si sono resi conto che senza i gettonisti la sanità chiude».
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede 15 miliardi per la sanità, non bastano questi soldi?
«Il governo Draghi ha fatto un’operazione importante di sostegno, queste risorse però sono destinate a strutture e infrastrutture, anche quelle di carattere tecnologico e digitale, ma non per i dottori. È giusto innovare e cambiare le apparecchiature, ma il problema vero è la carenza dei professionisti e questo è dovuto a una serie di errori clamorosi fatti in passato. Noi avevamo lanciato l’allarme sulla “gobba pensionistica” tra il 2021 e il 2027, quando andrà in pensione il 40% in più dei medici che normalmente escono dal mondo del lavoro. Ma non si è cambiato nulla. Oggi, per correre ai ripari si devono aumentare le borse di specializzazione come ha fatto l’ex ministro Roberto Speranza e incrementare gli accessi a medicina come ha fatto questo governo. Gli effetti però si avranno tra i 5 e gli 11 anni».
E allora che fare?
«Lo ribadisco: rendere attrattivo il sistema, avere il coraggio di investire. Il ministro della Salute Orazio Schillaci l’ha detto, bisogna ascoltarlo».
Il Pnrr punta sulle case di comunità, maxi ambulatori dove i cittadini possono trovare i servizi di primo livello, cosa ne pensa?
«Il finanziamento è stato di un miliardo e duecento milioni, con questi soldi non si fa nemmeno mezzo rinnovo contrattuale». —