Il giorno del giudizio sarà il prossimo 5 luglio. Quando la Commissione europea presenterà il Report annuale sullo Stato della Giustizia nei 27 Paesi dell’Unione europea. E le ultime due mosse del governo italiano in questo settore saranno inserite in quel documento. Anzi, il lavoro del Commissario alla Giustizia, Didier Reynders, è stato in parte modificato proprio in questi giorni.
La Commissione europea aveva già avvertito che il provvedimento sulla Corte dei Conti e sui poteri di analisi preventiva sul Pnrr sarebbe stato monitorato. Quell’intervento, insomma, èstato illuminato dal faro di Bruxelles. Ed ora anche la riforma della Giustizia, relativa all’abrogazione dell’abuso d’ufficio e alla diffusione delle intercettazioni, stanno entrando nel fascio di luce di Palazzo Berlaymont.
In particolare per quanto riguarda le intercettazioni. Giàl’anno scorso il Report aveva evidenziato dei limiti in Italia sulla liberà di stampa. “Crescenti preoccupazioni” era stata la definizione proprio del Commissario alla Giustizia sullo stato della libertà di informazione nel nostro Paese.
Quei rilievi, seppure formali,adesso potrebbero prendere sostanza. Considerando che un anno fa, quando era ancora in vita il governo Drgahi, ancora Reynders espresse «un apprezzamento molto positivo» nei confronti delle riforme messe in campo dall’allora Guardasigilli Cartabia. Misure che sono state poi disattese dall’esecutivo Meloni. Adesso la situazione rischia quindi di essere molto cambiata.
Va poi tenuto presente che nei giorni scorsi è stato pubblicato il giudizio di Reporter senza frontiere che colloca la libertà di stampa in Italia al 43esimo posto nel mondo. In miglioramento rispetto all’anno scorso ma pur sempre al 43esimo posto. La libertà di stampa in Italia — si legge nella scheda Paese del World Press Freedom index 2023 — continua ad essere minacciata dalla criminalità organizzata, in particolare nel Meridione, oltre che da vari gruppi estremisti violenti. Attacchi che sono notevolmente aumentati durante la pandemia e continuano a ostacolare il lavoro dei professionisti dell’informazione, soprattutto durante le manifestazioni».
E dopo questo provvedimento come sarà il giudizio? Saremo ancora al 43esimo posto o scenderemo?
Scontro su Nordio.
La maggioranza intende andare avanti sulla giustizia, nonostante le barricate di Pd e M5s e le critiche dei magistrati. Il giorno dopo il varo della riforma Nordio in Consiglio dei ministri è Andrea Delmastro Delle Vedove, fedelissimo di Giorgia Meloni e sottosegretario alla Giustizia, ad assicurare il provvedimento verrà approvato: «Sono convinto che convinceremo la magistratura della bontà delle nostre tesi». Le polemiche non sembrano spaventare la maggioranza, Fi vede la possibilità di coronare il sogno di Silvio Berlusconi e, anzi, Antonio Tajani chiarisce che questo è solo «un primo passo». Del resto, l’opposizione è divisa, i centristi di Carlo Calenda e Matteo Renzi si sono già detti favorevoli, e lo stesso Pd deve fare i conti con quell’ala del partito – a cominciare dai sindaci – che vede bene l’abolizione dell’abuso d’ufficio.
Certo, arrivano anche distinguo che pesano, come quello dell’avvocato Franco Coppi che in passato ha difeso – tra gli altri – Giulio Andreotti e lo stesso Berlusconi. Eliminare l’abuso d’ufficio, spiega, «non mi pare una grande alzata d’ingegno», perché «vorrà dire che i Pm procederanno per corruzione; al posto dell’abuso avremo la corruzione». Mentre delle intercettazioni «è assurdo discutere, è talmente ovvio che sono indispensabili, uno strumento irrinunciabile», anche se – ammette – «si possono cercare rimedi per evitare la lesione dei diritti dei terzi» ma «in modo compatibile con la libertà di stampa». È preoccupata anche l’associazione “Libera”, che teme un «pericoloso indebolimento dei presidi anticorruzione faticosamente istituiti nell’arco dell’ultimo decennio».
Netto il no di Giuseppe Conte e del Movimento 5 stelle: «Il reato di abuso d’ufficio – ricorda – lo avevamo già circoscritto, ma l’abolizione elimina presidi anti corruzione che tutelano la legalità». Anzi, il leader M5s lancia un «appello perché si lavori tutti insieme ad una legge sul conflitto di interessi». Contrario alla riforma è anche il Pd, anche se Elly Schlein deve gestire chi – come Matteo Ricci e Antonio Decaro – sostiene l’abolizione del reato.
I centristi si sono subito schierati a favore. Calenda addirittura rivendica in qualche modo la paternità delle misure proposte dal governo: «Nella precedente legislatura abbiamo presentato una riforma della giustizia. È difficile non sostenere ora qualcosa che anche noi abbiamo proposto». Renzi dice cose simili, sebbene il leader Iv sembri pensare che qualche problema potrebbe esserci nella maggioranza: «La vera domanda non è se noi appoggiamo la riforma Nordio. Il punto è se ci sarà la maggioranza a sostenerla, perché dentro la destra c’è un’ala garantista e un’ala forcaiola». In ogni caso il disegno di legge del governo «ha alcuni segnali timidi ma importanti, sono disponibile a ragionare».
La maggioranza al momento si mostra compatta, anche se Salvini appunto si limita a poche parole: «È un primo passo». Tajani già rilancia: «Bisogna fare la separazione delle carriere e andare avanti, ma questo è già un segnale politico, e molto chiaro, in direzione garantista. Questa è una parte di una riforma più ampia». Il vice-premier cita Berlusconi: «Sapeva ed era assolutamente favorevole». Lucio Malan, Fdi, afferma che «la riforma varata dal governo Meloni punta a migliorare il funzionamento della giustizia, rafforzando le garanzie». E Delmastro aggiunge: «Non credo che la magistratura abbia nulla da eccepire. Non l’abbiamo privata di un solo strumento per accertare la verità processuale dei fatti».
Anac: “È una riforma sbagliata ci porta fuori dall’Europa”
«L’abrogazione dell’abuso di ufficio non risolve la paura della firma e gli obblighi internazionali». La voce di Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, arriva dall’aeroporto di Tirana, dove ha partecipato a un summit con i colleghi degli altri Paesi europei sulla trasparenza negli appalti.
Che cosa pensa dell’abuso di ufficio?
«Ritengo che sia giusto e opportuno definire nel dettaglio il perimetro del reato».
Non è già stato fatto con quattro riforme negli ultimi trent’anni?
«Un tentativo avanzato è quello della riforma del 2020, che ha circoscritto il reato. Ma successivamente alcune sentenze lo hanno nuovamente esteso, considerando punibile qualsiasi violazione dell’articolo 97 della Costituzione sul buon andamento della pubblica amministrazione. Come se ogni violazione amministrativa costituisca automaticamente un reato».
Che cosa suggerisce, in vista del dibattito parlamentare sul ddl Nordio?
«Una legge di interpretazione autentica, per chiarire definitivamente i confini del reato entro la violazione di puntuali norme di legge. Un intervento di questo tipo avrebbe l’effetto di escludere la punibilità del giusto esercizio della discrezionalità».
E l’abrogazione tout court scelta dal ministro?
«Non la condivido. Rende non punibili gli abusi di potere, nonché violazioni sia di leggi sia di obblighi necessari a evitare conflitti di interessi. Inoltre questa scelta crea un triplice problema di compatibilità dell’ordinamento italiano a livello internazionale».
Problema di che tipo?
«Ci sono due convenzioni internazionali contro la corruzione, sottoscritte in passato dall’Italia e quindi già vincolanti. Una a livello Onu, l’altra del Consiglio d’Europa. Entrambe impongono esplicitamente di prevedere una repressione penale – ripeto, penale – di condotte sovrapponibili ai reati di abuso di ufficio e traffico di influenze illecite».
Se il ddl Nordio diventerà legge, che cosa accadrà?
«Onu e Consiglio d’Europa hanno specifici organismi di controllo. Sicuramente l’abuso di ufficio resterebbe scoperto, rischiando di metterci in aperto contrasto; quanto al traffico di influenze, bisognerà studiare attentamente le conseguenze della ridefinizione, per valutare se si dissocia da quanto previsto dalle convenzioni internazionali».
E il terzo fronte?
«È la direttiva europea proposta un mese fa dalla Commissione europea, in risposta allo scandalo chiamato Qatargate ma con una portata generale: un passo davvero fondamentale nella lotta alla corruzione».
Che cosa prevede?
«Azioni sia a livello di prevenzione, con il rafforzamento delle autorità indipendenti come l’Anac, sia a livello repressivo».
In che modo?
«Armonizzando a livello europeo le definizioni dei reati perseguibili, per ricomprendere non solo corruzione e concussione, ma anche appropriazione indebita, traffico di influenza, abuso di ufficio, ostruzione della giustizia e arricchimento illecito in connessione a reati di corruzione. In sostanza si integra nel diritto europeo la convenzione Onu che citavo precedentemente. Infine ci sarà un monitoraggio costante sul rispetto da parte dei Paesi».
Che sanzioni rischiamo, quindi?
«Al momento, questa è la proposta della Commissione. Diventerà vincolante se, come spero, si arriverà al termine dell’iter di approvazione. Ma è già importante per capire in che direzione va l’Europa, se non l’Occidente».
Quale direzione?
«Trasparenza nella gestione delle procedure pubbliche, lotta agli sprechi, repressione penale dei reati connessi. Biden ha detto che la lotta alla corruzione è questione di sicurezza nazionale. E la direttiva Ue è stata sollecitata dalla rete di Autorità indipendenti a cui noi aderiamo».
La paura della firma non giustifica soluzioni radicali?
«La vera paura della firma ha due cause. La prima è l’opacità legislativa. È giusto che il funzionario pubblico sappia esattamente cosa è lecito e cosa no. Per questo ripeto che l’abuso d’ufficio avrebbe definitivamente perimetrato con un’interpretazione autentica del legislatore».
E la seconda causa?
«L’assenza di mezzi e capacità amministrativa. I piccoli enti sono paralizzati da assenza di risorse e competenze. I dirigenti non firmano perché devono fare troppe cose, e tante su cui non sono specializzati».
Che cosa servirebbe?
«Sui contratti pubblici, bisogna creare un centinaio di centrali di committenza, altamente specializzate sui singoli settori, che suppliscano alle amministrazioni che non sono in grado di gestire le procedure. Oggi le centrali regionali ci sono, ma non ovunque e non tutte adeguate. È l’unico modo per fare presto, non sprecare soldi, rispettare i tempi del Pnrr».
Lo stiamo facendo?
«Siamo in ritardo. Questa è la vera partita. Siamo in difficoltà. Troppe amministrazioni non sono in grado di attuarlo: per questo si rischia di perdere tempo e sprecare soldi. Rischiamo di arrivare al 2026 senza aver completando le opere, perdendo l’occasione unica dei finanziamenti europea. La vera cura della paura della firma non è l’abrogazione dell’abuso di ufficio».
L’Anac sta lavorando per questo?
«Da luglio faremo un’analisi della capacità delle stazioni appaltanti, solo quelle organizzate potranno fare le gare complesse. C’è da dire, però, che il nuovo codice degli appalti esclude la necessaria qualificazione per contratti di lavori fino a 500mila euro».
Servono nuove regole?
«Servono assunzioni straordinarie con stipendi competitivi per alte professionalità. E le assicuro che si tratta di soldi ben spesi, perché largamente superiori a quelli che si sprecano continuando così».
Non è tardi?
«È stato fatto tutto in corsa. Alcuni aspetti non sono stati calcolati, altri tentativi non hanno funzionato. Ma non è il momento delle polemiche. Se perdiamo il Pnrr, perdiamo tutto. Anche oltre il Pnrr».
Oltre il Pnrr?
«Il nuovo patto di stabilità europeo sarà basato su meccanismi simili. Piani di rientro dal debito concordati e da attuare con regole di trasparenza, correttezza e verificabilità».
Alzare gli affidamenti diretti a 150mila euro la convince?
«Una scelta che non va nella direzione di confrontare le offerte, garantire una spesa di qualità, evitare i conflitti di interessi. Il decisore pubblico si rivolge all’impresa amica, che senza il confronto con terzi si sentirà autorizzata ad aumentare i prezzi, facendo pagare di più ciò che vale meno».
Lo scontro con la Corte dei Conti è un segnale preoccupante?
«Il Pnrr prevede controlli, ma quello concomitante non è tra quelli indispensabili. Dunque non si violano le regole europee. Però, in generale, i controlli servono e aiutano l’amministrazione. Con questo spirito lavora l’Anac, attraverso la vigilanza collaborativa. Ciò cura la paura della firma ed evita contenzioso successivo. Se stai sbagliando strada, meglio saperlo subito e non quando è troppo tardi, no?».
E la proroga dello scudo erariale?
«Si crea irresponsabilità anche per comportamenti gravemente colposi. Una deroga, forse giustificabile durante l’emergenza Covid, non può diventare regola».
Dopo la polemica sul codice degli appalti, come sono i suoi rapporti col governo?
«Improntati, come prima e come con gli altri governi, a correttezza istituzionale. Le nostre osservazioni sono indipendenti, specifiche, connesse alle nostre competenze. E collaborative, anche se qualcuno non lo capisce». —