Repubblica. Una riga e mezzo. “Programma straordinario di resilienza delle aree a rischio dissesto idrogeologico con interventi mirati”. Quale programma straordinario? Non è specificato. Quali interventi mirati? Non vengono detti. Rimane tutto appeso alla fantasia dell’elettore che legge. Quella riga e mezzo è lo spazio dedicato all’Italia che frana, che esonda, che travolge, che crolla e che uccide, nelle diciassette pagine dell’accordo di governo della coalizione di centrodestra siglato durante la campagna elettorale. Si trova al capitolo dodici, diluita tra altri punti sotto al titolo: “L’ambiente, una priorità”. I primi sette mesi a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni, però, dimostrano come le priorità in realtà siano altre. E neanche l’alluvione di Ischia del 26 novembre scorso (12 morti) ha portato il tema della fragilità del territorio lì dove dovrebbe stare, e dove i governi, non solo l’attuale, si rifiutano di mettere: al centro dell’agenda.Lo spettro dell’unità di missione
Più vecchia degli allarmi degli ambientalisti e dei geologi c’è solo l’attitudine, tutta italiana, di racimolare miliardi di euro dal bilancio pubblico senza poi essere in grado di spenderli. Nelle casse dello Stato ci sono 8,4 miliardi di euro dedicati alla mitigazione del rischio idrogeologico che potrebbero essere utilizzati subito, ora, per argini, invasi, casse di laminazione, canalizzazioni e quant’altro serva ai bacini idrici del Paese, ma che dal 2018 sono intonsi. Transitano da un capitolo di spesa all’altro, da quando il governo giallo-verde di Giuseppe Conte, appena insediatosi, decise di cancellare Italia Sicura, la struttura di missione diretta da Erasmo D’Angelis e voluta dall’allora premier Renzi. Il risultato è stata la paralisi per cinque anni: il Conte I e il Conte II, alla voce: “idee per salvare il territorio”, non hanno scritto niente di significativo, gli 11 mila progetti catalogati e sistematizzati dalla struttura di missione (per realizzarli servono 33 miliardi di euro) sono rimasti un mesto elenco su un file excel. I miliardi trovati razionalizzando risorse interne non sono stati spesi. Alla fine il governo Draghi li ha messi nel Pnrr. E lì giacciono.La rivogliono, ma senza fondi
Che però serva un soggetto per mettere a terra i progetti aiutando gli enti locali, evidentemente, è chiaro a tutti: a febbraio di quest’anno il Senato vota un ordine del giorno col quale chiede alla premier di ripristinare quel sistema. Lo approvano 130 senatori, di tutti gli schieramenti, si astengono 25 onorevoli del M5S. Il Senato dà due mesi di tempo al governo, che però passano nel silenzio. «Allora siamo riusciti a inserire un emendamento al dl Fitto sulle semplificazioni del Pnrr», dice la senatrice renziana Raffaella Paita. «Prevede la ricostituzione di un’unità di missione, però la maggioranza ne ha stravolto il senso, trasferendola al ministero dell’Ambiente, facendo così venire meno la trasversalità tra ministeriche facilitava l’attuazione delle opere ». Oltretutto, segnala Paita, non vi hanno messo su neanche un euro. E non sono indicate modalità operative. «È una scatola vuota, vittima dei veti incrociati tra ministri dell’Ambiente e della Protezione civile. La premier deve venire a riferire in Aula per spiegarci cosa succede».
Le dighe di Musumeci
Dopo Ischia, il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci rivela che è stato costituito un gruppo di lavoro interministeriale, affidato a lui stesso, per ricostruire il quadro degli interventi anti-dissesto in corso. «Dal 2019 al 2027 messi a disposizione 21 miliardi per la tutela del territorio ». Quali risultati abbia portato il gruppo di lavoro interministeriale non è chiaro. Il giorno dopo l’alluvione che ha colpito Emilia e Marche, Musumeci si aggrappa a parole troppe volte già sentite e lancia promesse vaghe. «Cabina di regia sul dissesto», «step di interventi, a breve, medio e lungo termine», «lista delle maggiori criticità», «messa in sicurezza dell’Italia in dieci anni», e così via. Si fa concreto, invece, sulle dighe. «Serviranno decine di nuove dighe regionali: sono quarant’anni che non se ne fanno. Pensiamo a un sistema di raccolta d’acqua che possa assorbire 500 mm in 48 ore».
Il commissario (senza soldi)
Alle accuse d’inerzia, Palazzo Chigi risponde opponendo la fresca nomina di Nicola dell’Acqua a commissario all’emergenza siccità. L’idea è di coinvolgerlo nella lotta al dissesto, pur avendo un incarico ridotto, che dura fino al 31 dicembre, rinnovabile di un anno. Una partita, questa del commissario, che all’interno del governo ha vinto il leader della Lega: il veneto Dell’Acqua, infatti, fa riferimento alla cabina di regia che è stata affidata al ministro Salvini. Finora appare come un’altra scatola vuota, senza risorse. «Intanto c’è un contenitore e sono fiducioso che verrà riempito», ragiona, con l’ottica del bicchiere mezzo pieno, Massimo Gargano, direttore dei Consorzi di Bonifica.Il piano climatico dimenticato
Il governo di “Ambiente, una priorità”, dunque, fatica a finanziare l’oggetto dei suoi proclami. Nel programma elettorale, Giorgia Meloni scriveva «aggiornare e rendere operativo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici». È un piano cruciale, da sette anni fermo alla fase preliminare, che definisce la strategia per convivere con l’innalzamento della temperatura per i prossimi 30 anni, in agricoltura (si prevede una perdita di fatturato di 12,5 miliardi nel 2050), turismo (-52 miliardi con un innalzamento di 4 gradi), e così via. Il piano individua 361 azioni per attenuare l’impatto. A dicembre il governo ne pubblica una bozza aggiornata, lasciandolo in consultazione per due mesi al fine di raccogliere osservazioni. «Dopo febbraio non ne abbiamo saputo più niente», sostiene Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. «Se ne sono dimenticati. E soprattutto, nella legge di bilancio non hanno stanziato niente per realizzarlo».