Il Sole 24 Ore. Alla prossima legge di bilancio serviranno 23-26 miliardi solo per mantenere in vita l’esistente e mettere mano al minimo sindacale degli interventi già annunciati. Ma il Def 2023 che domani inizia l’esame in Parlamento con le audizioni offre al momento per l’anno prossimo solo 5,7 miliardi. Gli altri 17-20 sono tutti da trovare ancora prima di ipotizzare misure aggiuntive su pensioni, stipendi, contratti dei 3,2 milioni di dipendenti statali e così via.
È in queste cifre la misura della strettoia che attende la prima legge di bilancio interamente a carico del governo Meloni, dopo la manovra 2023 che per l’inedito voto autunnale è stata costruita in tutta fretta sul sentiero tracciato dall’Esecutivo Draghi. Serviranno scelte non facili, e bisognerà scontentare più di qualcuno per costruire un bilancio in grado di tenere insieme le esigenze di sostegno a famiglie e imprese e quelle dei conti pubblici schiacciati dal peso di un debito complicato da gestire con tassi di crescita distanti da quelli accentuati nel rimbalzo post-pandemico.
Si parte dal taglio al Cuneo
La lista della spesa obbligatoria o quasi è invece facile da costruire. Nelle prossime settimane il governo tornerà a tagliare il cuneo fiscale, con 3,4 miliardi che dovrebbero farsi sentire sulle buste paga dei lavoratori a reddito medio-basso da maggio a dicembre. La misura prosegue sul sentiero avviato da Draghi nel 2022 e già rafforzato per quest’anno dal governo Meloni con l’ultima legge di bilancio. Ma anche il taglio in arrivo, come quelli del passato, sfrutta margini congiunturali e scade a fine anno.
Nello scenario ancora dominato da un’inflazione che declina molto più lentamente di quanto ipotizzato solo pochi mesi fa, è difficile immaginare di lasciar cadere a Capodanno la riduzione del cuneo e di ridurre quindi le retribuzioni dei lavoratori dipendenti anche in termini nominali da gennaio. Ma la conferma per il 2024 degli sconti contributivi nell’assetto in vigore dal mese prossimo richiederebbe 9 miliardi: ai 3,5 (4,9 al lordo delle ricadute fiscali) stanziati a gennaio andranno aggiunti circa 4,2 miliardi (5,8 lordi) per spalmare su base annua lo sconto che il decreto in arrivo garantirà con 3,4 miliardi per i prossimi 7 mesi del 2023, e per essere completa la replica dovrà abbracciare anche l’esonero contributivo per le assunzioni di giovani.
I costi della Pa
Nel pubblico impiego le stesse questioni tornano in un panorama reso però anche più complicato dai contratti scaduti a fine 2021, prima ancora di essere firmati, che lasciano scoperto proprio il periodo della corsa dei prezzi più rapida degli ultimi 40 anni. Anche qui c’è una misura in scadenza al 31 dicembre, rappresentata dall’una tantum da un miliardo (più 800 milioni negli enti locali e in sanità) che per il solo 2023 ha offerto un aumento lineare dell’1,5% agli stipendi nella Pa. Ma pare difficile continuare a tenere fermo a zero il contatore dei fondi per i contratti 2022/2024 senza accendere una sollevazione sindacale. Il recupero integrale dell’inflazione del periodo costerebbe fino a 32 miliardi lordi, 18 a carico del settore statale finanziato dalla legge di bilancio. Il ministro per la Pa Paolo Zangrillo ha indicato in 7-8 miliardi una cifra “realistica” per i rinnovi. Ma sarebbe tutta da trovare, e basterebbe da sola a far volare ben sopra i 30 miliardi la spesa di base della manovra.
Pensioni e sanità
Una distanza analoga fra volere e potere si incontra sul terreno delle pensioni, dove ai dibattiti su abolizioni della legge Fornero e quote varie per le uscite anticipate fa da contraltare un quadro di finanza pubblica (per tacere dello scenario demografico) che non offre spazio ad alcun volo. Anche in questo caso ci si dovrebbe poter limitare alla replica delle misure in scadenza a fine anno: servirebbe un miliardo.
Nel cammino della spesa si incontra poi la sanità. Nei tendenziali le uscite scendono l’anno prossimo di 3,3 miliardi. La flessione, è vero, si spiega con gli arretrati contrattuali che saranno pagati quest’anno ai medici (se si arriva in tempo alla firma del contratto) e con il venir meno dell’Unità di missione per il Covid. Ma il quadro delle emergenze post-pandemiche nella sanità pubblica non sembra aprire la strada a una riduzione di quattro decimali della spesa in rapporto al Pil (dal 6,7% al 6,3%), per cui è ipotizzabile che questa tendenza sia almeno dimezzata con altri 3 miliardi. E fra vacanza contrattuale del pubblico impiego, missioni all’estero e impegni internazionali in fatto di difesa le spese indifferibili, «obbligatorie» ma «non contemplate» dal Def come chiarisce lo stesso Documento, ne richiedono almeno altri 2.
Il taglio dell’Irpef
Bastano insomma le voci elencate fin qui ad alzare un primo scalino da 17 miliardi, che si alza però con il fisco, che sarà chiamato quantomeno a replicare le misure in vigore oggi (dallo stop a Plastic e Sugar Tax alle detassazioni sui premi di produttività). Nelle intenzioni dichiarate dal governo c’è poi l’avvio dell’attuazione della delega fiscale, con una riduzione Irpef da 3-4 miliardi. Il conto non può trascurare l’aumento dell’assegno unico e il “pacchetto famiglia” descritto nel Def (lo ha annunciato la premier Meloni dopo il consiglio dei ministri che ha approvato il Documento) e i finanziamenti extra per un sostegno all’Ucraina che dovrà proseguire nel tempo. Si arriva così a 23-26 miliardi, una somma fra l’1,1 e l’1,2% del Pil.
La colonna dei “fondi disponibili” a oggi si ferma però a 5,7 miliardi, formati dai 4,5 miliardi che separano il deficit tendenziale 2024 dal programmatico e dagli 1,2 miliardi che dovrebbero arrivare dalla spending review ministeriale.
I conti della Nadef
I conti sui margini di bilancio effettivi per la manovra si faranno a settembre con la Nadef, questo è ovvio. Ma il meccanismo solito che vede la Nota di aggiornamento alzare il disavanzo scritto ad aprile nel Def sarà questa volta molto più complicato da far scattare. Perché il nuovo programma di finanza pubblica prevede per il prossimo anno una discesa del rapporto fra debito e Pil di soli sette decimali (dal 142,1% al 141,4%) agganciata a uno 0,8% di taglio del deficit (da 4,5% del Pil a 3,7%) e al ritorno di 6 miliardi abbondanti (lo 0,3% del Pil) di saldo primario. Basterebbe poco, quindi, per spingere il bilancio italiano sul terreno che non deve sfiorare, quello di uno stop al sentiero di discesa del debito/Pil.
Molte delle chance per la prossima manovra restano quindi ancorate all’ottimismo rivendicato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, secondo cui la crescita reale potrà andare “ben oltre” le previsioni del Def. Perché se così non sarà, la strada verso la manovra rischia di rivelarsi parecchio ripida.