Repubblica- Raddoppiare il taglio del cuneo fiscale a 13,8 milioni di lavoratori dipendenti, privati e pubblici, per otto mesi quest’anno: da maggio a dicembre. Rendere cioè la loro busta paga più pesante, aggiungendo alla decontribuzione da 4,2 miliardi già in vigore altri 3 miliardi liberati dal minor deficit per il 2023, come certificato dal Documento di economia e finanza (il Def) approvato martedì dal Consiglio dei ministri.
Il governo Meloni gioca la sua carta per spegnere i malumori sindacali che a maggio si esprimeranno in tre diverse manifestazioni. E nello stesso tempo rafforzare le retribuzioni dei lavoratori zavorrate da due anni di alta inflazione, senza però innescare pericolose spirali prezzi-salari, come auspicato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
Ecco dunque l’idea di destinare quel mini “tesoretto” da 3 miliardi spuntato nei conti pubblici ai redditi «medio-bassi». La prima legge di Bilancio del governo Meloni aveva confermato il taglio del cuneo di due punti introdotto dal governo Draghi — ovvero due punti in meno di contributi previdenziali, coperti dallo Stato — salendo a tre punti per i redditi fino a 25 mila euro lordi annui e restando a due fino a 35 mila euro.
Con i 3 miliardi extra, il governo potrebbe raddoppiare quel taglio: 6 punti fino a 25 mila euro e 4 punti fino a 35 mila euro. Il beneficio lordo oscillerebbe tra 700 e 1.400 euro all’anno. Quello netto tra 40 a 80 euro al mese: cifre non trascurabili, specie per i redditi più bassi. I calcoli sono ancora in corso ed esistono anche altre ipotesi di distribuzione del taglio. L’intervento da 3 miliardi per otto mesi saràin ogni caso definito a breve, con ogni probabilità entro aprile via decreto legge — il “decreto Lavoro” — assieme ad altre norme. Come quella che rende possibili contratti a termine senza causale per due anni anziché uno e il trasferimento di una parte delle funzioni di Anpal — l’Agenzia nazionale per le politiche attive — all’interno del ministero del Lavoro.
In questo modo il taglio del cuneo cresce di peso e sull’intero anno vale 8,4 miliardi, al netto della maggiore Irpef che produce e che torna allo Stato. Si tratta di una misura che scade il 31 dicembre di quest’anno e che va rifinanziata in legge di Bilancio. La seconda manovra del governo Meloni parte però da una base di soli 4 miliardi. E in ballo c’è anche la riforma del fisco con l’ipotesi di scendere a tre aliquote Irpef, rivedendo detrazioni e deduzioni per garantire allo stesso tempo la progressività — chi ha di più paga di più — e una minore pressione fiscale.
Il viceministro dell’Economia Maurizio Leo si dice sicuro che le «risorse per tagliare le tasse nel 2024 si troveranno nella Nadef», la Nota di fine settembre che aggiorna il Def. Al momento i 4 miliardi non bastano. Ma è chiaro che qualora andasse in porto l’Irpef a tre aliquote, questa riforma assorbirebbe il taglio da 8,4 miliardi del cuneo fiscale. Al contrario, se il governo non riuscisse a farla, dovrebbe rifinanziare il taglio del cuneo contributivo: le due misure insieme sono troppo costose.
Il leader della Cgil Maurizio Landini dice che 3 miliardi per ridurre il cuneo sono «insufficienti». Anche la Uil di Pierpaolo Bombardieri non è convinto e conferma le ragioni per la mobilitazione di maggio. Più positiva la Cisl di Luigi Sbarra che però ritiene scarsa la spinta del Def alla crescita.