L’impiegata si occupava di ricezione degli atti, della richiesta copie e delle formule esecutive e spesso svolgeva attività allo sportello dell’ufficio decreti ingiuntivi. La sua scrivania si trovava in una stanza molto grande, in cui lavorava una decina di persone, mentre l’attività di contatto con il pubblico si svolgeva dietro un bancone che separava le persone con un vetro in cui era collocata una feritoia.
La dipendente si era sentita male ed era entrata in pronto soccorso proprio all’inizio della pandemia, quando si stavano decidendo e attuando le prime misure di distanziamento sociale (precisamente, l’11 marzo del 2020), e poi era deceduta qualche settimana dopo.
Il Ctu incaricato dal giudice di capire il nesso causale della malattia ha individuato come data di probabile insorgenza della patologia il 3 marzo e ha escluso che la lavoratrice potesse aver ricevuto il virus dai familiari, essendo stata la prima tra loro a manifestare i sintomi del Covid. Il Ctu si è spinto oltre, ritenendo che il fatto di lavorare in un ambiente chiuso, a distanza ravvicinata con i colleghi e con il pubblico costituiscono una situazione idonea alla trasmissione del Sars-Cov2, soprattutto nel caso in cui nessuno indossi la mascherina. A conclusione di questo ragionamento, il Ctu ha evidenziato che, pur non essendo possibile fissare il momento preciso del contagio, si può utilizzare il criterio probabilistico per ritenere che lo stesso sia avvenuto nell’ambiente di lavoro.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza, ha fatto proprie queste considerazioni, evidenziando che siano coerenti con gli indirizzi amministrativi dell’Inail. Viene ricordata, a tale riguardo, la circolare 13/2020 dell’istituto, con la quale è stato affermato che la presunzione semplice di origine professionale del contagio riconosciuta in favore degli operatori sanitari non esaurisce il perimetro della tutela assicurativa offerta dall’ente.
Come ricorda tale circolare, infatti, sussiste una condizione di «elevato rischio di contagio» anche per altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico, e ne elencava alcune: lavoratori front office, addetti alla cassa, alle vendite e banconisti, personale non sanitario operante negli ospedali con mansioni tecniche, di supporto e pulizia. Anche per tali professioni, sostiene la circolare, deve valere la presunzione semplice di origine lavorativa del contagio.
Nel caso deciso dal Tribunale di Milano, la lavoratrice svolgeva anche mansioni di front office, che la mettevano in contatto con tanti utenti esterni, in un ambiente chiuso e a distanza ravvicinata, nonostante la presenza di un vetro. Sulla base di queste considerazioni il Tribunale ha condannato Inail al pagamento all’erede della rendita ai superstiti prevista dall’articolo 85 del Dpr 1124/1965.
Una decisione che può avere un grande impatto su questo tema, sia per la modalità con cui viene applicata la presunzione semplice di origine lavorativa del contagio, sia per il ruolo centrale che assume, nella risoluzione di questo caso (e degli altri che dovessero presentarsi), il Ctu, unico soggetto in grado di fornire una valutazione scientifica attendibile sul momento e il luogo più probabile di sviluppo del contagio.