Paolo Rosso, La Stampa. I pasdaran di Schillaci e Giorgetti insieme a quelli delle regioni sono già a lavoro per affrontare l’emergenza sanità, fatta di liste d’attesa interminabili, Pronto soccorsi intasati, letti degli ospedali in overbooking e servizi territoriali che fanno acqua da tutte le parti. Perché a Palazzo Chigi è già scattato l’allarme su come tutto questo rischi di tramutarsi in perdita del consenso elettorale. Un problema che rischia di acuirsi se i conti delle regioni continueranno ad andare a rotoli, portando di nuovo molte di loro al commissariamento, con relativo obbligo di adottare piani di rientro, che implicano nuovi tagli delle prestazioni e blocco drastico delle assunzioni. Un pericolo che corrono anche diverse regioni governate proprio dal centro-destra. A partire dal neo conquistato Lazio, ma con in bilico anche Piemonte, Umbria e Abruzzo, mentre Calabria e Molise rischiano di rimanere commissariate a lungo.
Così ieri i tecnici di Salute, Mef e regioni più Ylenja Lucaselli, deputata FdI in rappresentanza della maggioranza, hanno iniziato il confronto a tutto campo sul “piano Schillaci”, anticipato dallo stesso ministro nell’intervista pubblicata ieri da La Stampa. Per ora sul piatto il governo metterebbe 2 miliardi di euro. Anche se la dote potrebbe salire quando ad aprile con il nuovo Def si vedrà se tra minori costi della bolletta energetica, ripresa del Pil e gettito delle sanatorie fiscali ci sarà un tesoretto al quale attingere per finanziare un decreto che non vedrà la luce prima di giugno. Salvo un anticipo nel consiglio dei ministri di martedì prossimo, quando un decreto legge addosserà allo Stato un miliardo dei 2,2 di pay back, dovuti alle regioni dalle imprese produttrici di dispositivi medici per ripianare lo sforamento di spesa per cose che vanno da garze e cerotti a tac e risonanze. Il restante miliardo e 200 milioni lo metteranno le aziende, forse con uno sconto per quelle di piccole dimensioni, salvo la possibilità per tutte di portare in detrazione d’imposta i circa 200 milioni di Iva versata. Sembra un provvedimento tecnico, ma toglie in parte le castagne dal fuoco alle regioni che con lo sblocco dei pagamenti ridaranno un po’ di ossigeno ai loro bilanci.
Per il resto, come spiega Lucaselli, «uno dei punti centrali del futuro decreto sarà quello del potenziamento degli organici medici realizzato inserendo paletti più rigidi all’utilizzo dei circa 15 mila medici a gettone, che saranno incentivati a entrare invece come dipendenti nel servizio pubblico, rispettando limiti di età e competenze, in base alle quali non sarà più possibile che un ortopedico finisca a cardiologia o un over 70 in sala operatoria. La copertura di spesa arriverà dai risparmi conseguiti limitando il ricorso alle cooperative, che per ogni turno di lavoro chiedono fino a quattro volte tanto il costo di un dipendente». Insomma una partita di giro che per essere realizzata richiederà però di derogare all’anacronistico tetto di spesa per il personale sanitario, che ancora oggi vincola le regioni a non spendere più di quanto speso nel 2004, diminuito dell’1,4%.
Per attirare i medici nelle prime linee dei Pronto soccorsi o a lavorare in specialità come virologia o radiologia, che hanno poco appeal perché si fa poco privato, c’è poi un altro pacchetto di incentivi. Il primo è quello che tassa solo al 15% l’indennità di specificità medica, che si aggira sui mille euro al mese. L’altro è quello di far aumentare in futuro l’assegno previdenziale con una quota di contributi figurativi per ogni anno lavorato nei reparti più disagiati.
Per tagliare le liste di attesa si punta ad aumentare la remunerazione per le prestazioni aggiuntive, che un decreto dell’era Covid aveva fissato a 80 euro l’ora per i medici e 50 per gli infermieri. Incentivi rimasti però sulla carta perché per essere applicati era previsto un regolamento mai scritto. Per le prestazioni aggiuntive su piatto ci sarebbero 100 milioni che andrebbero ad aggiungersi ai 360 stanziati dal decreto milleproroghe.
«Ma si sta rivedendo anche l’attività libero professionale dei medici dentro gli ospedali – rivela sempre Lucaselli – perché oggi molti di loro per visitare privatamente occupano spazi pubblici dal lunedì al venerdì, che in parte potrebbero essere recuperati per incrementare l’offerta in regime Ssn». Sui posti letto invece più che aumentare quelli negli ospedali pubblici, operazione dai costi non indifferenti, si punta a recuperare quelli che le strutture private convenzionate spesso si riservano per i pazienti solventi. E sempre da accordi con i privati dovrà arrivare una maggiore offerta di prestazioni in funzione anti liste di attesa. Una formula che farà storcere il naso a chi sostiene che quando il pubblico si ritira dalla gestione la sanità diventa poi più diseguale. —