Trenta miliardi. È questa la cifra che gli Stati, Usa e Unione Europea in primis, hanno speso per finanziare la ricerca e lo sviluppo dei vaccini. Mentre le case farmaceutiche, che si sono arricchite vendendo i risultati di quegli investimenti pubblici, hanno messo di tasca propria solo 16 miliardi per la ricerca e sviluppo. A posteriori, nei due anni successivi all’inizio della pandemia, le principali multinazionali farmaceutiche Pfizer, BioNTech, Moderna e Sinovac hanno registrato profitti per circa 90 miliardi di dollari dalla vendita di vaccini e farmaci contro il Covid-19.
È questo il dato emerso da uno studio commissionato dal Parlamento Europeo e dalla Commissione speciale sugli insegnamenti da trarre dalla pandemia ai docenti di Scienze della Finanza dell’Università di Milano, Massimo Florio, Simona Gamba e a Chiara Pancotti del Center of Industrial Studies, Csil.
Trenta miliardi sono stati investiti dal pubblico, senza tuttavia avere alcuna voce in capitolo sulle decisioni economiche fondamentali e costretti, oltretutto, a sottostare a qualsiasi variazione di prezzo stabilita dalle multinazionali: al punto che, in base all’indagine della Corte dei Conti Europea, il Vecchio continente ha speso altri 71 miliardi per 4,6 miliardi di dosi di vaccino, con contratti di acquisto anticipato. Si tratta, di fatto, della spesa più onerosa per il bilancio europeo di tutti i tempi.
Lo studio del professor Florio ha dimostrato «la forte prevalenza del rischio finanziario assunto dal pubblico, cioè dai cittadini, rispetto al privato nella produzione dei vaccini contro Covid-19. Un rischio a cui non ha corrisposto un potere di decisione sui prezzi e sulla distribuzione, con gravi oneri per l’interesse collettivo».
Si tratta di una realtà del tutto diversa dalla narrazione secondo cui i risultati ottenuti con i vaccini si devono soprattutto agli investimenti “a rischio” assunti dalle imprese farmaceutiche, perché assunti ancor prima di sapere se i vaccini funzionassero o meno.
Per i nove vaccini esaminati dallo studio, la ricerca ha stimato che le imprese hanno realizzato investimenti di cinque miliardi di euro per ricerca e sviluppo e di undici miliardi per investimenti produttivi prima di avere certezza di vendita, per un totale di 16 miliardi. A fronte di essi, dall’esterno, in quasi completa provenienza dagli Stati, sono arrivate alle imprese sovvenzioni a fondo perduto di nove miliardi per ricerca e sviluppo, con un’enorme variabilità fra imprese riceventi , e ventuno miliardi di advanced purchase agreements, cioè degli accordi di acquisto prima dell’autorizzazione dei vaccini stessi, per un totale di 30 miliardi.
«Quindi la maggior parte del rischio finanziario che ha consentito la realizzazione dei nove vaccini esaminati è stata assunta dal settore pubblico, non dalle imprese» ha commentato Fabrizio Barca, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, che continua: «Questo dato nega, in primo luogo, che gli elevatissimi extra-profitti realizzati dalle imprese farmaceutiche nella vendita dei vaccini siano in qualche misura giustificati dal rischio di mercato da loro assunto. Addirittura, per alcune multinazionali i profitti sono stati di svariate decine di miliardi. Mentre, un rischio due volte maggiore è stato assunto dagli Stati, con mezzi delle persone contribuenti (di oggi e di domani). Ma a fronte di tale rischio gli Stati non hanno esercitato la funzione di governo e controllo delle decisioni di prezzo e distribuzione che competono a chi si assume la maggioranza del rischio».
Quei soldi avrebbero potuto essere spesi diversamente, ad esempio i governi avrebbero potuto investire sul rafforzamento dei sistemi sanitari pubblici. Una distorsione che rischia di aggravarsi ulteriormente nell’immediato futuro, visto che Moderna e Pfizer hanno annunciato di volere quintuplicare il prezzo a dose portandolo a circa 100 dollari dagli attuali 20,e che l’immunizzazione dura solo pochi mesi. Per cui si ricomincerà a dover pagare un conto illimitato. Per di più, argomenta lo studio, senza che i fortissimi differenziali di prezzo fra i diversi vaccini siano accompagnati da alcuna valutazione delle differenze nella loro efficacia.
«È evidentemente necessaria una forte correzione di rotta per affrontare in tutt’altro modo i possibili sviluppi dell’attuale pandemia e ogni simile emergenza», argomenta Massimo Florio, che è docente di Economia alla Statale di Milano e membro del Forum DD, che continua: «La scelta sin qui compiuta dall’Unione Europea non va in questa direzione, ma conferma la logica delle sovvenzioni pubbliche in attività di ricerca e sviluppo su cui gli Stati non hanno voce. Occorre un intervento pubblico europeo per prevedere e affrontare le prossime pandemie e per altre emergenze già visibili. In campi cruciali per la salute, serve la messa a punto di farmaci, vaccini, diagnostica e altri rimedi, da offrire ai cittadini come beni comuni: con ricerca e sviluppo anche in collaborazione con imprese private, ma mantenendo fermamente sotto controllo pubblico la proprietà intellettuale e le decisioni strategiche su tutto il ciclo dell’innovazione biomedica e del farmaco in quei campi».
Lo studio argomenta che nell’immediato è necessario normare a livello Europeo la condivisione delle decisioni di prezzo e distribuzione fra privato e pubblico in relazione all’entità dei rispettivi investimenti. A regime, la strada appropriata è quella di avviare la costruzione di un’infrastruttura pubblica, come quella proposta nello studio precedente Biomed Europa, svolto dagli stessi economisti per lo Science and Technology panel del Parlamento Europeo, a partire da una idea maturata già nel 2019 nel ForumDD
L’Espresso