Paolo Russo, La Stampa. Contributi previdenziali «più pesanti», maggiori punteggi ai fini della carriera e defiscalizzazione dell’indennità di specificità per i medici che lavorano nella prima linea dell’emergenza e urgenza o nelle specialità meno attrattive perché non si fa attività privata. Più soldi anche per le prestazioni aggiuntive erogate dai professionisti sanitari per snellire le liste d’attesa, limiti molto più stringenti nell’utilizzo dei medici a gettone. Ci sarà questo e altro ancora nel decreto omnibus sanitario che il ministro della Salute, Orazio Schillaci, anticipa in un’intervista a tutto campo. Dove affronta le tematiche della lunga inchiesta de La Stampa sulla sanità in agonia.
Schillaci, le Regioni sostengono che con la prospettiva di un finanziamento dell’Ssn al 6% del Pil da qui al 2025 bisognerà dire la verità ai cittadini, ossia che le loro aspettative di assistenza dovranno essere riviste al ribasso. È così?
«Non è solo una questione di soldi, anche se nel corso di questa legislatura contiamo di fare di più anche da questo punto di vista. Le Regioni devono però adoperarsi per evitare gli sprechi e rendere più efficienti gli ospedali e la sanità territoriale. I posti letto negli ospedali vanno ad esempio aumentati ma bisogna lavorare anche sull’appropriatezza dei ricoveri con la presa in carico dei malati cronici proprio da parte del territorio. Il mondo sta cambiando, abbiamo tecnologie e terapie che consentono quello che fino a ieri era impensabile. Le risorse per l’innovazione devono arrivare dalla prevenzione, che va potenziata. Perché in una popolazione che invecchia prevenire significa non solo far vivere meglio le persone ma anche liberare risorse per curarle poi più efficacemente quando serve. Rispetto alle risorse mi faccia però dire che, nonostante la guerra e la crisi energetica, il governo le ha aumentate quest’anno di oltre 4 miliardi. E nel calcolare le percentuali sul Pil bisogna considerare che durante la pandemia è sceso notevolmente mentre ora è destinato a salire anche oltre i livelli pre-pandemici. Il che significa che in valori assoluti le risorse non diminuiscono ma aumentano».
State lavorando a un decretone omnibus per la sanità. Dove andrete ad intervenire?
«Stiamo pensando di snellire le liste d’attesa aumentando il compenso dell’orario aggiuntivo dei medici e degli operatori sanitari. Si sta lavorando per contrastare la violenza nei pronto soccorso anche con il procedimento d’ufficio contro gli aggressori. Vogliamo mettere dei paletti all’uso dei gettonisti. Pensiamo infine per chi lavora nei reparti in prima linea, come l’emergenza e urgenza, di defiscalizzare l’indennità di specificità medica da circa 8 mila euro l’anno e di dare maggior peso ai contributi previdenziali per ogni anno lavorato in questi reparti, dove si potrà fare più punteggio anche ai fini della carriera. Che poi è anche un modo per incentivare i giovani a iscriversi a quelle specialità mediche meno attrattive da un punto di vista economico perché hanno poco mercato privato».
Pensate anche di abbattere il numero chiuso nelle facoltà di medicina?
«Abbatterlo no ma stiamo lavorando con il Miur per aumentare gli accessi alle Facoltà. Mi chiedo però perché si dica sempre che mancano i medici ma si trovino con facilità i gettonisti pagati quattro volte tanto. Evidentemente dobbiamo impegnarci a rendere più attrattivo il lavoro nel pubblico».
Ha accennato a dei paletti per l’utilizzo dei medici a gettone. Quali sarebbero?
«Stiamo pensando di fissare dei limiti sia alla quota utilizzabile che di età, perché non è possibile far lavorare chi ha anche 70 e più anni. Ma saranno necessari anche titoli specialistici attinenti al tipo di lavoro che si va a fare in ospedale. Un ortopedico non può finire a cardiologia».
I pronto soccorso nel frattempo scoppiano. Come superiamo questa emergenza?
«Sicuramente incentivando da un punto di vista sia di carriera che economico chi ci lavora. In questo senso stiamo cercando di anticipare a quest’anno i 200 milioni di incentivi stanziati per il 2024. Ma è indispensabile potenziare la sanità del territorio e la telemedicina, perché oggi la gran parte degli accessi al pronto soccorso sono codici verdi che dovrebbero essere trattati fuori dell’ospedale».
A questo proposito dove troverete medici e infermieri che dovranno lavorare nelle nuove 1.400 case e negli oltre 400 ospedali di comunità?
«Tra medici di famiglia, specialisti ambulatoriali, pediatri di libera scelta ed ex guardie mediche abbiamo 82 mila professionisti, che oggi lavorano però troppo isolati e individualmente, mentre nelle nuove strutture potranno garantire una migliore assistenza lavorando in team. Quelli che mancano veramente sono gli infermieri. Per questo stiamo pensando di autorizzare coloro che lavorano in ospedale a fare ore retribuite extra anche in case e ospedali di comunità».
Nelle nuove strutture si potranno fare anche gli accertamenti?
«Quelli di primo livello, come analisi del sangue, ecografie ed elettrocardiogrammi, sì. Forse anche le Tac».
Nel frattempo, le liste d’attesa stanno creando forme di discriminazione tra chi può aggirarle pagando e chi no…
«Abbiamo stanziato 360 milioni nel milleproroghe e inserito nelle agende di prenotazione anche il privato convenzionato. Ma è necessario intervenire sull’appropriatezza delle prescrizioni. Le nuove strutture territoriali dovranno organizzare la presa in carico dei sempre più numerosi pazienti cronici, scandendo loro il calendario di visite e accertamenti, seguendo protocolli validati scientificamente. E su questo saranno necessarie maggiori forme di controllo».
Ma le sembra accettabile che ci siano Asl e ospedali dove si erogano più prestazioni in modalità solvente?
«No. Nella mia carriera medica non ho mai esercitato la libera professione. Ma dico che se un professionista lavora molto nel pubblico è giusto che possa fare anche attività privata. Il contrario però no. Anche su questo serviranno maggiori forme di controllo. Magari anche assegnando al ministero un ruolo che oggi non ha».
Sul divieto di fumo anche all’aperto in presenza di bambini e donne incinta andrete avanti?
«Sulle sigarette tradizionali sì. Non voglio vietare il fumo a chi lo fa in solitudine, ma non posso accettare che si metta a rischio la salute di chi gli è accanto. Sulle e-cig servirà invece un approfondimento basato su reali evidenze scientifiche».
Il 30 aprile scade l’obbligo di mascherine in ospedali e Rsa. Lo prorogherete?
«Decideremo sulla base delle evidenze epidemiologiche e scientifiche. Ma gli ospedali devono rimanere aree protette, almeno dove ci sono i fragili».
Se la richiamasse oggi Giorgia Meloni, le direbbe ancora si?
«Sì e con maggiore determinazione di prima. Ho trovato un Ssn in condizioni che non mi aspettavo, con strutture ingolfate, una spesa a volte sbilanciata su alcune voci rispetto ad altre. Mi sto sempre più convincendo che non serve mettere più soldi se poi vengono spesi male. Con il ministro Giorgetti stiamo lavorando per reperire le risorse necessarie a incentivare i medici e ad aumentare i posti letto. Ma è indispensabile razionalizzare i percorsi di cura per avere una sanità pubblica più vicina ai cittadini. Soprattutto a quelli più svantaggiati». —