Nel disegno di legge delega fiscale approvato giovedì scorso dal Consiglio dei ministri, l’input è chiaro: «ce lo chiede (anche) l’Europa». Ma l’Europa siamo noi, tanto più se parliamo di un’imposta armonizzata a livello comunitario. Così, per adeguarsi ai criteri della direttiva 2006/112/Ce, si punta a «razionalizzare il numero e la misura delle aliquote» e rivedere la disciplina delle operazioni esenti. E disporre «un trattamento Iva tendenzialmente omogeneo per i beni e servizi similari», nel rispetto della loro rilevanza sociale.
Oggi nel paniere degli alimentari e delle bevande analcoliche, ad esempio, si contano 20 macrovoci di spesa, che contemplano tutte le attuali aliquote del 4, 5, 10 e 22% (si veda la grafica). E lo stesso accade nelle sei macrovoci nel paniere della sanità: dalle medicine agli occhiali. E allora, come ha spiegato il viceministro all’Economia Maurizio Leo, alcuni beni con Iva al 22%, come l’acqua minerale in bottiglia, potranno passare al 10%, dove ci sono alimenti come carne e pesce.
Qualche isolata misura di riequilibrio è arrivata di recente con la legge di Bilancio 2023, che ha esteso al 5% l’imposta su prodotti per l’igiene intima femminile anche non compostabili e lavabili; e ha portato al 5% quella sui prodotti per la prima infanzia (dal latte in polvere ai pannolini), avvicinandola a quella di altri beni come il latte (che ha l’aliquota al 4%). Il percorso che si prospetta è però più generale e complesso, e riecheggia quello della delega fiscale (affossata) nella scorsa legislatura, che intendeva perseguire la «razionalizzazione della struttura dell’Iva, con particolare riferimento al numero e ai livelli delle aliquote».
Il Parlamento potrà individuare i beni e servizi cui applicare aliquote Iva agevolate richiamandosi alla nomenclatura combinata doganale o alla classificazione statistica. O a entrambe. E dovrà farlo ricordando i casi in cui, ad esempio, il riferimento alla pura classificazione doganale ha portato «curiose» distorsioni, come per le zucche: con Iva al 4% se commestibili, e al 22% se solo ornamentali (leggi: Halloween).
Verso un’aliquota zero
A far da traino è la direttiva europea 2022/542 del 5 aprile scorso, che ha aggiornato l’elenco di beni e servizi agevolabili e riformato il sistema delle aliquote, provando a garantire agli Stati un’ampia flessibilità, pur concentrando gli obiettivi su ecosostenibilità, digitalizzazione e politiche sociali (si veda l’analisi a pagina 3).
Seguendo i paletti Ue, nel razionalizzare il sistema dell’Iva si potranno mantenere un’aliquota ordinaria di almeno il 15%; due aliquote ridotte pari o superiori al 5%; un’aliquota minima, inferiore al 5% (ora è al 4%), sulle vendite di un ristretto elenco di beni e servizi. Ma anche – novità – un’aliquota zero, «cioè un’esenzione con diritto alla detrazione dell’Iva sugli acquisti», ha ricordato il viceministro Leo.
Con l’Iva a zero potrebbero ritrovarsi, ad esempio, alimentari e beni di prima necessità. O i prodotti per lattanti, bambini e anziani. Già nella preparazione della legge di Bilancio 2023 si era discusso di azzerare l’imposta su pane, pasta e latte, che vedono un’aliquota al 4%: ma l’idea non ha avuto seguito, perché in quel momento avrebbe avuto un costo elevato (mezzo miliardo circa) e scarsi effetti sui conti delle famiglie.
Quanto alla struttura delle aliquote, «quella del 4% non si può toccare», ha sottolineato Leo nel corso del videoforum del Sole 24 Ore di venerdì scorso. Mentre «le due aliquote inferiori del 5 e del 10% possono essere oggetto di rivisitazione».
Il nodo degli immobili
La delega mira, poi, a risolvere i problemi attualmente emersi nel settore immobiliare, in cui è escluso l’esercizio della detrazione in relazione all’Iva dovuta sull’acquisto, sulla locazione, sulla gestione e sul recupero di fabbricati abitativi per le imprese diverse da quelle che svolgono in via esclusiva o prevalente attività edilizia nel settore abitativo. Si punta in questo modo a mettere mano all’indetraibilità oggettiva per rendere la detrazione coerente con l’operazione per la quale è utilizzato il bene o è acquistato il servizio.
La spinta della Ue
Più omogeneità nell’Unione, dove si va dall’aliquota unica della Danimarca alle cinque dell’Irlanda, dal 3% della minima in Lussemburgo al 27% dell’ordinaria in Ungheria. E più omogeneità all’interno degli Stati.
La direttiva 2022/542/Ue sarà applicabile dal 1° gennaio 2025, anche se la revisione si concluderà nel 2031, quando termineranno le deroghe (per le riduzioni previste dalle norme nazionali al 1° gennaio 2021). I singoli Paesi avranno quindi tempo fino al 2024 per i decreti attuativi. Entro il 7 ottobre 2023, però, sono già chiamati ad adottare «le modalità di esercizio» delle nuove aliquote ridotte.
Dunque, i percorsi della norma europea e della delega fiscale si sovrappongono in parte, visto che la timeline del governo Meloni immagina l’adozione dei decreti delegati entro 24 mesi dall’approvazione della legge.
Conti da monitorare
Sul tavolo dei tecnici non ci saranno solo i vincoli di sistema: bisognerà tener conto anche degli equilibri di finanza pubblica. Anzi, è forse l’aspetto più delicato di tutta l’operazione. Il percorso di spostamento dei beni dai panieri o di accorpamento delle aliquote dovrà muoversi lungo il sentiero stretto del non alterare l’attuale gettito dell’imposta. E su questo dovranno essere prese decisioni, anche a rischio impopolarità.