Repubblica. Sul tavolo di Giorgia Meloni ci sono due slide. Il titolo è lo stesso: riduzione delle tasse per il ceto medio. L’effetto però non è scontato, le opzioni per ridisegnare le aliquote Irpef, che passeranno da 4 a 3, rischiano di tradursi in benefici assai differenti per i contribuenti con redditi compresi tra 15 e 50 mila euro. Alcune fasce potrebbero addirittura rimetterci.
La Fondazione nazionale dei commercialisti ha stimato perRepubblica l’effetto che le due opzioni del governo avrebbero sull’attuale assetto dell’Irpef. Prima ipotesi: accorpare le aliquote centrali al 27-28%, mantenendo l’aliquota del 23% fino a 15 mila euro di reddito, passando a quella mediana fino a 50 mila euro e salendo al 43% per la fascia di reddito più alta. C’è un effetto scalino: penalizzati i redditi fino a 33 mila euro, che pagherebbero di più rispetto ad oggi; un esborso tra 15 e 390 euro per le fasce reddituali comprese tra 15.500 e 28 mila euro. Poi l’impatto negativo flette: tra 29 e 33 mila, l’esborso maggiore passerebbe progressivamente da 320 a 40 euro. Il beneficio rispetto alla situazione attuale, però, scatterebbe solo al di sopra dei 33 mila euro e raggiungerebbe i 1.150 euro in corrispondenza di 50 mila euro di reddito. In quest’ultimo caso, l’aliquota media effettiva scenderebbe di 2,3 punti percentuali rispetto al sistema attuale.
Seconda opzione: estendere la fascia al 23% fino a 28 mila euro, salire al 33% fino a 50mila e mantenere il 43% oltre. Pagherebbero tutti meno tasse. Il beneficio sarebbe crescente, fino a 700 euro per la soglia di 50mila euro di reddito. «Le modifiche che aiutano a ridurre il peso della progressività Irpef tra 15 e 50mila euro sono condivisibili in quanto favoriscono il ceto medio che ha sopportato fino ad oggi il peso maggiore dell’imposta», ragiona il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Elbano De Nuccio. È però evidente che «l’ipotesi di accorpare i due scaglioni centrali, fissandone l’aliquota al 28%, dovrà certamente prevedere una modifica della detrazione da lavoro in modo da evitare ogni tipo di penalizzazione ». Le simulazioni della Fondazione, va sottolineato, sono state fatte a parità di detrazione da lavoro dipendente rispetto ad oggi.
Proprio per evitare penalizzazioni a determinate fasce di contribuenti il governo sta studiando alcune correzioni. Lo schema allo studio del viceministro dell’Economia Maurizio Leo prevede una detrazione forfettizzata, calibrata sul reddito: chi guadagna di meno avrà uno sconto maggiore.
L’asticella deve essere ancora fissata, ma l’obiettivo è aiutare di più i redditi medio-bassi; in pratica un potenziamento e un allargamento del meccanismo che già oggi prevede, come nel caso delle detrazioni al 19%, una riduzione progressiva della detrazione man mano che il reddito cresce, fino ad arrivare all’azzeramento quando si tocca quota 240 mila. Le detrazioni, quindi, saranno rimodulate. Insieme alle deduzioni, la giungla delletax expenditures non sarà oggetto di tagli lineari, che rischiano di generare malcontento. Faranno eccezione quelle di cui beneficiano pochi contribuenti, che dovrebbero essere invece cancellate. Non tutte le detrazioni, però, saranno forfettizzate. Alcune resteranno piene: sicuramente quelle legate alle spese per la sanità e la scuola, da decidere le sorti di quelle per la casa, tra cui rientra lo sconto sui mutui. Un equilibrio delicato su cui Giorgia Meloni si gioca un pezzo importante di consenso. Ma per finanziare la riforma del fisco da qualche parte bisogna tagliare.