«Nelle prime fasi della pandemia alcuni errori sono stati fatti, ma soprattutto il sistema ha mostrato tutta la propria inadeguatezza».
Massimo Galli, già professore ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano, lei ha detto in audizione alla Commissione Affari sociali della Camera che ci sono stati contrasti nella gestione diretta dei problemi e che in futuro servirà una catena di comando definita. Quali sono stati i punti più critici?
«Abbiamo una sanità pubblica regionalizzata, con 21 centri di potere, contando anche le province autonome. Questa situazione ha creato grossi problemi di fronte a un’emergenza in gran parte ignota. La soluzione è ridimensionare il ruolo delle Regioni nella sanità, anche per superare disuguaglianze territoriali inaccettabili. Inoltre la scelta di alcune Regioni di puntare sui grandi ospedali d’eccellenza ha penalizzato per esempio i Centri vaccinali, ovvero i luoghi dove si costruisce la prevenzione, più vicini alla salute delle persone».
Secondo la ricostruzione della Procura di Bergamo, la mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, in Val Seriana, a fine febbraio 2020 ha causato la morte di oltre 4 mila persone. Che cosa non ha funzionato?
«La mia sensazione di allora era che la zona rossa servisse anche lì, oltre che nelle aree di Codogno e Vo’ Euganeo. Senza dubbio, agendo in maniera più decisa a Bergamo ci saremmo risparmiati dei morti. Quelli tra fine febbraio e inizio marzo 2020 sono stati giorni costellati di indecisioni, quando invece sarebbero servite prese di posizione lucide. Dove sta la responsabilità dell’indecisione non sta a me stabilirlo».
Noi clinici avevamo capito subito quanto fosse importante il ruolo degli asin-tomatici Bisognava testare più persone possibile
Un capitolo dell’inchiesta di Bergamo riguarda i test Covid. Che cosa ha da dire al riguardo?
«Noi clinici abbiamo capito subito quanto fosse importante il ruolo degli asintomatici nella diffusione dei contagi. La mia posizione, che tuttora rivendico, era quella di testare più persone possibile e il tempo mi ha dato ragione. Nei primi tempi della pandemia la disponibilità di strumenti diagnostici era limitata, era importante fare pressione sui decisori perché si potesse estendere l’attività di testing. Uno studio condotto nel 2020 nello Stato di Washington (Kimball e altri), all’interno di una Residenza sanitaria assistenziale, ha mostrato che circa la metà dei soggetti positivi al test non aveva sintomi. Il monitoraggio che abbiamo condotto tra maggio e giugno 2020 a Castiglione d’Adda ha dato un risultato analogo: sui 4.146 cittadini sottoposti a esame sierologico, un terzo degli ultraottantenni non sapeva di aver avuto l’infezione. Possiamo presumere che la percentuale di asintomatici sia superiore tra i giovani adulti».
È utile la Commissione parlamentare?
«Sì, se lo scopo è costruire interventi necessari per affrontare il futuro. È prevedibile che ci sarà un’altra zoonosi, ma non sappiamo quando né quale sarà il virus responsabile. È un errore adagiarsi sull’idea che Sars-CoV-2 sia uscito per errore da un laboratorio: la diffusione di nuovi virus nasce da una profonda alterazione degli ecosistemi».