Passata la paura di prendere il Covid andando in ospedale o in ambulatorio, i veneti hanno ripreso a pagarsi visite ed esami pur di aggirare le liste d’attesa, ulteriormente allungate dalla pandemia. Se nel 2021, in piena emergenza, i ricavi dell’attività libero professionale intramoenia (Alpi), cioè svolta dai medici entro le mura ospedaliere, in strutture pubbliche o in centri convenzionati, ammontavano a 109.885.000 euro, nel 2022 sono saliti a 113 milioni (sul totale nazionale di 1,1 miliardi), con una spesa procapite di 22,6 euro. Lo rivela un’indagine presentata in Parlamento da Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, secondo la quale nella regione svolge l’intramoenia il 53% degli 8.400 camici bianchi ospedalieri e il 69% dei 600 colleghi universitari.
Numeri, rapporto e tempi
Il Veneto, una delle poche realtà in cui le agende della libera professione sono gestite dai Cup esattamente come gli appuntamenti relativi all’attività istituzionale, conta dalle 7500 alle 10.400 prenotazioni al mese. Il rapporto tra i volumi delle prestazioni specialistiche effettuate in Alpi e quelle assicurate dall’attività istituzionale varia dal 3% delle visite fisiatrica e oncologica al 30% relativo a quella ginecologica. Per quanto riguarda gli esami strumentali la forbice va dall’1% di Tac, Holter, risonanza magnetica, mammografia monolaterale, elettromiografia al 40% dell’ecografia ginecologica. «La prestazione più erogata in Alpi è la visita cardiologica — recita il dossier Agenas — seguono le visite ginecologica, ortopedica e oculistica. Gli esami strumentali maggiormente richiesti sono invece l’elettrocardiogramma, l’ecografia della mammella, l’ecografia all’addome e la mammografia. In regime istituzionale al primo posto c’è l’elettrocardiogramma, seguito da visita oculistica, ortopedica, Tac e visita cardiologica». La differenza sta nei tempi: mentre queste, e tutte le 69 prestazioni prese in esame da Agenas, con la ricetta vengono garantite dai 30/60 giorni in su, pagando si ottengono nel 59% dei casi sotto i 10 giorni, nel 29% tra gli 11 e i 30 giorni e solo nel 13% l’attesa può arrivare a 60 giorni e oltre.
I ricoveri
Stesso trend per i ricoveri, anche perché il loro numero in intramoenia è decisamente inferiore alle degenze in regime istituzionale: 1419 a fronte di 528.178 nel 2021. «Il ricorso ai ricoveri in Alpi è più frequente nell’area ginecologica, nello specifico per il parto e le neoplasie maligne — si legge nel report —. Si rileva, come prevedibile, un’importante differenza tra i tempi d’attesa delle prestazioni erogate in attività istituzionale e quelle effettuate in Alpi. Per esempio per un intervento su naso, bocca e gola nel 2021 si è atteso 90 giorni in regime pubblico e 27 in intramoenia; per la prostatectomia l’attesa è stata rispettivamente di 43 e 26 giorni».
Attese: rimedi e limiti
Per snellire le liste d’attesa (ci sono 150mila prestazioni specialistiche da smaltire, dopo aver recuperato l’83% delle 450mila accumulate a causa della pandemia), la Regione lo scorso dicembre ha sottoscritto con i sindacati dei medici un accordo che prevede di aumentare da 80 a 100 euro lordi l’ora il compenso per gli ospedalieri dipendenti disposti a coprire qualche turno extra nei reparti in sofferenza (per il Pronto Soccorso il rialzo è già scattato). Eppure non sono molti gli specialisti che hanno accettato, almeno a giudicare dal frequente ricorso ai camici bianchi a gettone forniti dalle cooperative, che costano alle aziende sanitarie un totale di 30 milioni di euro l’anno. Ai medici del Servizio pubblico conviene optare per la libera professione? «Io direi piuttosto che, proprio a causa della carenza di personale, i camici bianchi al lavoro nel Sistema sanitario nazionale sono così stremati tra attività istituzionale, urgenze, guardie notturne, festivi e straordinari, che non hanno nè il tempo nè la forza per l’intramoenia — avverte Giovanni Leoni, segretario regionale della Cimo, sigla degli ospedalieri —. E comunque non tutti possono farla, la medicina d’urgenza per esempio ne è esclusa. Non si può generalizzare». «L’Alpi è soggetta a detrazioni tali da non rendere quanto si crede — aggiunge Luca Barutta, segretario di Anaao Assomed —. Il prezzo medio di una prestazione è di 120 euro, da cui vanno detratti una percentuale compresa fra il 20% e il 40% da lasciare all’azienda sanitaria, un altro 5% destinato al fondo di perequazione e un ulteriore 5% a favore del fondo per la riduzione delle liste d’attesa. Forse gli 80/100 euro l’ora rendono di più. Ma non è un discorso economico, bensì di vita. Il monte ore è già così alto da non rendere tollerabili altri carichi di lavoro». Michela Nicolussi Moro