Queste le conclusioni di un lungo report dell’Ocse dal titolo “Pronto per la prossima crisi? Investire nella resilienza del sistema sanitario” che delinea uno scenario potenzialmente catastrofico se non si attueranno presto politiche di riforma e investimento nella sanità in tutti i Paesi Ocse. E per farlo bisogna partire dalle lezioni apprese durante la pandemia e investire soprattutto in tre settori chiave: personale sanitario, prevenzione primaria e secondaria, vaccinazioni comprese, e dotazioni strutturali e tecnologiche e sistemi di raccolta dati e monitoraggio
“La pandemia di COVID-19 è una tragedia”: è lapidario l’incipit dell’ultimo dossier dell’Ocse dal titolo “Pronto per la prossima crisi? Investire nella resilienza del sistema sanitario”, che cerca di trarre alcune lezioni utili da quanto accaduto e da quanto sta ancora accadendo nel Mondo travolto da una crisi sanitaria senza precedenti per evitare di trovarci nuovamente impreparati di fronte a una possibile prossima crisi.
In pandemia ancora in corso, seppur con effetti molto meno evidenti e drammatici, l’Ocse traccia un primo bilancio a partire dalle vite perdute: i dati “ufficiali” parlano di almeno 6,8 milioni di morti a far data gennaio 2023 ma l’analisi dell’eccesso di mortalità suggerisce che ben 18 milioni di persone potrebbero essere morte in tutto il mondo a causa della pandemia entro la fine del 2021.
Anche l’aspettativa di vita è diminuita in molti paesi OCSE in 2020 e 2021 e si è verificato un diffuso sconvolgimento della società e dell’istruzione con il PIL diminuito del 4,7% nel 2020 nei Paesi OCSE.
In questo quadro, avverte l’Ocse, all’orizzonte si affacciano nuove crisi, a prescindere dal rischio di un’ulteriore pandemia, che potrebbero mettere a dura prova la comunità globale: resistenza antimicrobica; conflitti armati; cambiamento climatico; crisi finanziaria; minacce biologiche, chimiche, informatiche e nucleari; disastri ambientali e disordini sociali.
Per questo, secondo l’Ocse, “costruire la resilienza dei nostri sistemi sanitari non è mai stato così urgente”. Ma la resilienza “implica molto di più che pianificare una crisi”, essa, spiega l’Ocse, “aiuta ad assorbire gli shock e accelera il recupero”.
A partire dai sistemi sanitari, che possono e devono migliorare la loro resilienza traendo lezione da quanto è accaduto con il Covid, ma, avverte l’Ocse, “farlo ora è fondamentale per affrontare le minacce di domani”.
E dal Covid possiamo trarre molte lezioni anche su ciò che ha funzionato. Come le politiche che hanno introdotto nuove misure di contenimento e mitigazione, o la velocità con cui si è riusciti ad aumentare la capacità di risposta per la presa in carico delle criticità assistenziale aumentando mediamente dell’8% i letti di terapia intensiva già nel 2020, riuscendo contestualmente a riprogrammare la chirurgia elettiva.
La disponibilità e la tempestività dei dati sanitari sono migliorate, la flessibilità e la disponibilità ad assumere nuove competenze da parte del personale sanitario hanno poi facilitato nuovi modelli di assistenza e l’incremento di attività cruciali come l’assistenza critica e la vaccinazione. La telemedicina è stata implementata con un incredibile aumento della proporzione di adulti che hanno avuto un consulto medico online o per telefono (all’inizio del 2021, quasi un adulto su due ha consultato il proprio medico a distanza in 22 paesi OCSE).
Tuttavia, sottolinea l’Ocse, le popolazioni e i sistemi sanitari in molti paesi stanno ancora lottando per riprendersi completamente dalla pandemia. Le interruzioni dell’assistenza, le infezioni da COVID-19 e la sfida della sindrome post-COVID-19 o “Long Covid” continuano infatti a gravare sui sistemi sanitari, tant’è che “l’eredità della pandemia potrebbe durare per decenni”.
Per l’Ocse sono tre le principali vulnerabilità che hanno indebolito la resilienza del sistema sanitario.
I sistemi sanitari erano impreparati. La spesa per la prevenzione rappresentava solo il 2,7% della spesa sanitaria totale nei paesi OCSE nel 2019.
Oltre all’età, l’obesità e le malattie croniche come il diabete erano fattori di rischio per gravi impatti sulla salute e morte per COVID-19.
Più di un terzo (35%) della popolazione di età superiore ai 16 anni nei paesi OCSE aveva malattie croniche di lunga data o problemi di salute prima della pandemia.
La prevalenza era ancora più alta (43%) tra le persone con redditi più bassi. I pazienti con multimorbosità erano anche più vulnerabili alle interruzioni dell’assistenza, che portavano a gravi conseguenze e complicazioni a lungo termine.
La povertà, la disoccupazione e lo svantaggio socio-economico erano fortemente associati a scarsi risultati di salute: basti pensare che nel primo anno della pandemia, il rischio relativo di morte per COVID-19 è raddoppiato per coloro che vivevano nelle aree socialmente più svantaggiate e per le minoranze etniche. I sintomi della depressione sono raddoppiati tra i giovani in diversi paesi OCSE nel 2020-2021, rispetto al 2019.
I sistemi sanitari erano già a corto di personale. La pandemia ha lasciato gli operatori sanitari sovraccarichi ed esausti, con una crescente preoccupazione di un esodo massiccio anticipato di molti operatori.
Prima della pandemia c’era un’ampia variazione all’interno dell’OCSE nella densità di medici e infermieri, che andavano da meno di 5 per 1.000 persone a oltre 20 per 1.000 persone con una media di 12,4 per 1.000 in tutta l’OCSE nel 2019. Nel 2020 sono state effettuate 11 milioni di prestazioni in meno rispetto al 2019, provocando un enorme arretrato assistenziale che richiede una disponibilità ancor maggiore di personale pena il mancato assorbimento dell’arretrato sanitario.
I sistemi sanitari hanno sofferto di investimenti insufficienti. Una spending review accorta sarà essenziale, avverte l’Ocse, per rafforzare la sanità pubblica e la prevenzione, potenziare il personale, accumulare scorte di emergenza, aumentare la disponibilità di letti di terapia intensiva e utilizzare i dati per migliorare il processo decisionale, la sorveglianza e la ricerca.
Ma non basta. Più risorse serviranno comunque e se è vero che molti paesi hanno in realtà aumentato i loro investimenti in forza lavoro, infrastrutture digitali e attrezzature in risposta alla pandemia, ora questo sforzo dovrà ora essere mantenuto. E per l’Ocse per rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari è necessario un investimento annuo mirato di almeno l’1,4% del PIL nei paesi OCSE, rispetto a quanto si spendeva nel 2019, con un intervallo tra i paesi compreso tra lo 0,6% e il 2,5%, a seconda di quanto un paese sta già spendendo per la salute. E l’investimento principale, circa la metà, dovrebbe riguardare il personale sanitario.
Con questo surplus di investimenti la media di incidenza delle spese sanitarie sul Pil dei Paesi Ocse raggiungerebbe il 10,1%, rispetto alla media effettiva di riferimento dell’8,8% nel 2019. Questo aumento equivale al 9% della spesa sanitaria totale dei paesi dell’OCSE, ovvero 627 miliardi di dollari (USD 460 pro capite).
Una cifra che in valori assoluti per l’Italia vorrebbe dire un’iniezione di liquidità nel sistema sanitario pari a circa 25 miliardi l’anno, prendendo a riferimento il Pil 2021.
Nell’attuale contesto di finanze pubbliche ristrette nella maggior parte dei paesi OCSE, per arrivare a tali cifre l’unica via appare quella di una “combinazione di spese mirate e misure per ridurre le spese inutili” come del resto l’Ocse ha già segnalato in un suo recente draft di cui abbiamo parlato pochi giorni fa.
Ma l’investimento va fatto in ogni caso, secondo l’Ocse, anche perché nel medio periodo è molto probabile che il ritorno in termini di vantaggi economici di questi investimenti mirati nel sistema sanitario superi notevolmente i costi. Ad esempio, sottolinea l’Ocse, efficaci interventi di prevenzione finirebbero per ridurre la necessità di assistenza sanitaria, con conseguenti risparmi sui costi di cura e assistenza, ma comunque la via è segnata: solo con questa forte iniezione finanziaria si potrà evitare che i sistemi sanitari vengano “sopraffatti” dalla crescita di domanda e dalle ricadute delel diverse crisi che ci attendono.
Inoltre, ricorda infine l’Ocse, al di là del settore sanitario, tali investimenti daranno impulso all’economia anche perché un sistema sanitario più forte e più resiliente aiuta a ridurre il rigore delle misure di contenimento e mitigazione. Rafforza il capitale umano sia ora, attraverso una forza lavoro più sana e più produttiva, sia in futuro, attraverso un’istruzione meno interrotta.
Ma dove andrebbero spesi questi soldi? Come abbiamo visto circa la metà dovrebbe andare per reclutare nuovo personale sanitario, mentre la restante parte dovrebbe essere impiegata per incrementare le azioni e le iniziative di prevenzione primaria e secondaria, vaccinazioni comprese, e poi per migliorare le dotazioni strutturali e tecnologiche e il sistemi di raccolta dati e monitoraggio dei sistemi sanitari.
Ma l’Ocse non si è fermato qui, nel suo rapporto si spinge avanti e propone “sei raccomandazioni politiche” per migliorare la resilienza del sistema sanitario.
Queste raccomandazioni mirano a ridurre l’impatto di futuri shock sulle società e sulle economie e non solo sui sistemi sanitari: “le riforme da attuare conclude l’Ocse, devono essere coerenti e lungimiranti. Non dovrebbero solo affrontare le questioni attuali, ma anche anticipare le sfide future garantendo la presenza di risorse fisiche, dati, governance e nuovi accordi finanziari”.
1. Promuovere la salute della popolazione: le popolazioni vulnerabili rendono vulnerabili i sistemi sanitari
Massimizzare la salute delle persone prima di una crisi minimizza i danni alla popolazione, riducendo il rischio di morte e problemi di salute a lungo termine. Può anche ridurre la domanda di servizi sanitari per acuti durante uno shock, a vantaggio di tutti.
Promuovere stili di vita più sani e affrontare i determinanti più ampi della cattiva salute, tra cui la povertà e la disoccupazione, sono fondamentali per mitigare l’impatto dei futuri shock sui sistemi sanitari.
Un forte sistema di cure primarie che offra una copertura sanitaria universale aiuta a migliorare la salute prima di una crisi.
Includere considerazioni sulla salute mentale nella preparazione alle crisi e nella pianificazione della risposta dovrebbe essere una routine.
Migliorare la salute della popolazione è conveniente e questi investimenti miglioreranno sia il benessere della società che la resilienza.
2. Promuovere la permanenza e il reclutamento della forza lavoro: il personale è la chiave per rendere resilienti i sistemi
La carenza di forza lavoro rappresenta una delle maggiori minacce per i sistemi sanitari resilienti. Nel contesto della pandemia, le limitazioni della forza lavoro si sono rivelate un ostacolo ancor più stringente rispetto alla disponibilità di posti letto ospedalieri.
La pandemia ha anche evidenziato l’importanza di valorizzare i lavoratori in prima linea, in particolare infermieri e operatori sanitari, per rivitalizzare i sistemi sanitari.
In Austria, Canada, Italia, Lettonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, la carenza di personale sanitario è stata un problema diffuso che ha interessato una vasta gamma di categorie di operatori sanitari, tra cui medici ospedalieri e medici generici, infermieri negli ospedali e nelle case di cura, e assistenti sanitari
Nonostante il numero elevato di operatori sanitari nei paesi OCSE, potrebbero essere necessari oltre 3 milioni in più di operatori sanitari e di assistenza a lungo termine per migliorare la resilienza.
I maggiori investimenti nel mantenimento e nel reclutamento renderanno la ripresa meno onerosa e miglioreranno la flessibilità della forza lavoro per far fronte agli shock futuri.
3. Promuovere la raccolta e l’utilizzo dei dati: senza i dati giusti, i decisori volano alla cieca
Sebbene non si sappia quale forma assumerà la prossima crisi, i dati saranno fondamentali per affrontarla. Un migliore utilizzo dei dati e degli strumenti per convertirli in informazioni fruibili è fondamentale per la sorveglianza delle nuove minacce e per fornire un quadro migliore della salute.
Prima della pandemia, l’infrastruttura digitale era frammentata. Secondo un’indagine effettuata dall’Ocse (l’Italia non è compresa), solo 14 paesi dell’OCSE sono stati in grado di collegare i dati tra più contesti all’interno dell’assistenza sanitaria. Le informazioni chiave per la gestione del sistema sanitario non erano disponibili in tempo reale e solo due paesi hanno segnalato la disponibilità di dati settimanali sulla mortalità prima della pandemia.
Ora, sottolinea l’Ocse, i dati in rete e la tempestività dei dati sanitari sono notevolmente migliorati in risposta alla pandemia.
Tutti i paesi dell’OCSE hanno infatti riportato una migliore comunicazione dei dati e quasi tutti hanno migliorato la tempestività dei dati per informare le scelte politiche e promuovere un uso più efficiente delle risorse.
Investire nelle infrastrutture digitali migliorerà anche le prestazioni del sistema sanitario tra le crisi. Per le crisi future, i dati dovranno essere raccolti e collegati al di là del sistema sanitario, tenendo conto delle interdipendenze che sorgono durante una crisi.
Ad esempio, pochi uffici statistici nazionali o ministeri dell’istruzione hanno intrapreso raccolte di dati speciali relativi alla pandemia di COVID-19 e ai suoi effetti sull’istruzione (compresa la chiusura delle scuole).
4. Promuovere la cooperazione internazionale: a una crisi si risponde meglio insieme che da soli
La mobilità globale e la connessione hanno vantaggi significativi ma possono amplificare gli shock. Il processo decisionale internazionale è stato messo in discussione all’inizio della pandemia e la velocità della risposta è stata compromessa.
Un sistema di sorveglianza internazionale più forte con la raccolta continua di informazioni, la valutazione dei rischi e un rapido coordinamento delle risposte avrebbe facilitato una risposta più rapida.
Il successo e la velocità senza precedenti dello sviluppo del vaccino COVID-19 hanno salvato milioni di vite. Sono stati forniti massicci finanziamenti del settore pubblico per la ricerca, lo sviluppo e la capacità produttiva, ma la distribuzione dei vaccini è stata iniqua.
Il fallimento nel completare lo sviluppo di vaccini contro i precedenti focolai di coronavirus (sindrome respiratoria acuta grave nel 2003 e sindrome respiratoria mediorientale nel 2015) è stata un’occasione persa.
Dare priorità all’innovazione attraverso il sostegno pubblico alla ricerca e allo sviluppo ed esplorare nuovi incentivi aiuterebbe a preparare la comunità globale a una serie di minacce, come la resistenza antimicrobica, i cambiamenti climatici e le pandemie.
Sono necessari approcci coordinati a livello internazionale per il trasferimento tecnologico e la gestione della proprietà intellettuale per le tecnologie sanitarie essenziali attualmente sottoprodotte.
Quadri di governance credibili, meccanismi di impegno esecutivi e finanziamenti stabili a lungo termine faciliterebbero l’equa distribuzione e l’uso di prodotti essenziali, come dispositivi di protezione individuale e vaccini e beni pubblici globali come la sorveglianza.
Si stanno sviluppando strumenti globali per le pandemie: gli obiettivi delle iniziative dell’Organizzazione mondiale della sanità e del Fondo pandemico per promuovere questa cooperazione dovrebbero essere sostenuti.
Tuttavia, le iniziative dovranno andare oltre le pandemie per affrontare una gamma più ampia di rischi. Senza progresso, le sfide globali si tradurranno in maggiori sconvolgimenti e disuguaglianze.
5. Promuovere la resilienza della catena di approvvigionamento: ottenere prodotti e servizi quando e dove sono necessari
La fornitura di prodotti medici ha ostacolato la risposta iniziale alla pandemia. Quasi tutti i paesi OCSE hanno segnalato difficoltà nell’ottenere dispositivi di protezione individuale (92%), nonché materiali di prova (83%) e ventilatori (68%).
La mancanza di dispositivi di protezione individuale è stata devastante. Il commercio internazionale ha sostenuto un forte aumento della disponibilità di vaccini e dispositivi medici essenziali, ma le barriere al commercio hanno ostacolato la distribuzione. La difficoltà nell’individuare gli approvvigionamenti nei paesi coinvolti nelle filiere ha compromesso la valutazione del rischio.
Sono necessarie informazioni più dettagliate su forniture, fornitori e paesi di origine dei prodotti finiti e input chiave per valutare meglio i rischi e prepararsi alle crisi.
Avere un numero limitato di fornitori per i prodotti essenziali è una vulnerabilità fondamentale.
Sebbene i paesi stiano diversificando le loro catene di approvvigionamento per tali prodotti, i rischi permangono.
La cooperazione internazionale per lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti più carenti promuoverebbe risposte più eque ed efficaci. Per quelle tecnologie che sono utili in caso di crisi, la garanzia dell’esistenza di una capacità produttiva sufficiente dovrebbe essere combinata con l’impegno dei fornitori per garantire l’accesso dove la necessità è maggiore.
Investire in catene di approvvigionamento più resilienti non solo migliorerà i risultati durante le crisi, ma incoraggerà anche la prevedibilità e l’affidabilità tra i periodi di interruzione.
6. Promuovere la governance e la fiducia: senza fiducia, le risposte dell’intera società sono meno efficaci
Le strutture di governance devono riflettere la realtà che l’intera società è coinvolta nell’affrontare grandi shock. Esistono interdipendenze tra il settore sanitario e il resto della società.
Un esempio nel contesto della pandemia è stato il settore dell’assistenza a lungo termine, che è stato duramente colpito.
Ad aprile 2022, un terzo (34%) di tutti i decessi cumulativi di COVID-19 in 25 paesi OCSE riguardava residenti in strutture di assistenza a lungo termine.
Circa il 20% delle persone anziane che hanno ricevuto assistenza personale da professionisti o parenti (che vivono al di fuori) hanno regolarmente segnalato la rinuncia o il rinvio delle cure nel 2021 in 23 paesi OCSE. Una maggiore integrazione dell’assistenza a lungo termine con la salute e l’inclusione esplicita nella pianificazione della crisi migliorerebbero i risultati per il prossimo shock.
La fiducia nelle istituzioni è necessaria per le risposte dell’intera società. La cattiva informazione e la disinformazione hanno il potenziale per minare le risposte della società.
È fondamentale contrastare attivamente questo problema e anche promuovere un processo decisionale legittimo e trasparente: 19 paesi OCSE su 23 hanno riferito di essersi impegnati con i media per combattere la cattiva informazione e la disinformazione alla fine del 2021.
Coinvolgere tempestivamente le parti interessate e comunicare le prove delle decisioni è importante per legittimità.
Ciò è particolarmente vero quando le risposte alle crisi implicano misure restrittive della libertà e l’alterazione degli standard abituali di assistenza sanitaria.
In queste circostanze, è necessaria una leadership ai massimi livelli per prendere decisioni rapide di fronte all’incertezza.
Con uno scenario ancora oscuro per il 2023 e le molteplici crisi in corso come la guerra della Russia contro l’Ucraina, le pressioni inflazionistiche e l’insicurezza energetica, i governi devono affrontare scelte politiche difficili.
Tuttavia, investimenti intelligenti e mirati nella resilienza del sistema sanitario andranno a vantaggio delle società, garantendo che gli elementi costitutivi siano presenti e pronti per la prossima crisi.
Senza tali investimenti, i costi saranno maggiori e l’impatto sulle persone maggiore.
Cesare Fassari – Quotidiano sanità
25 febbraio 2023