Michela Nicolussi Moro, il Corriere Veneto. Per anni governatori, Ordine dei Medici e sindacati di categoria si sono sgolati, sono scesi in piazza, hanno battuto i pugni a Roma al fine di ottenere un numero di borse di studio per l’accesso dei laureati in Medicina alle Scuole di specializzazione congruo a sistemare non solo le nuove leve ma anche i 10mila «camici grigi» rimasti fuori per mancanza di posti e quindi non autorizzati a lavorare in ospedale, nonostante la carenza di 50mila specialisti nel Sistema pubblico nazionale e fra i tremila e i quattromila nel Veneto. Il ministero della Salute le ha più che triplicate a 17.400 rispetto alle 5600 del 2020 (il Veneto ne conta circa duemila, tra le Università di Padova e Verona), eppure i futuri camici bianchi ne lasciano inutilizzate il 20% a livello nazionale e il 23% nella nostra regione.
Lo rivela un’indagine condotta dall’Anaao Assomed, sigla dei medici ospedalieri, proprio nei giorni in cui il ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, ha annunciato pure l’allargamento del numero chiuso a Medicina, con un aumento dei posti tra il 20% e il 30%. Il Veneto, con la Lombardia (18%) e il Lazio (14%), è la realtà più colpita dal fenomeno, con 642 borse di studio snobbate su un totale di 2757, il 23% appunto. Nel dettaglio: 457, il 17%, non sono state assegnate per mancanza di candidati e le altre 185, il 7%, sono andate a laureati che hanno abbandonato la specializzazione dopo averla iniziata, per fare altro. «Per esempio hanno preferito iscriversi al corso triennale di Medicina generale organizzato dalla Regione, che consentirà loro di diventare dottori di famiglia in regime di convenzione e quindi di scegliersi orari e carichi di lavoro scevri dalle urgenze e dai ritmi massacranti dell’ospedale — spiega Luca Barutta, segretario regionale dell’Anaao Assomed —. Oppure hanno optato per le medicine alternative, che non richiedono la specializzazione. Ma soprattutto hanno lasciato specialità che non consentono di affiancare all’attività pubblica la libera professione, come la medicina di emergenza-urgenza, la medicina nucleare, Anestesia e Rianimazione, Patologia e Biochimica clinica, Microbiologia, per inseguire quelle praticabili anche in privato. Per esempio Oculistica, Dermatologia, Chirurgia plastica, Oftalmologia, Cardiologia». In effetti se una borsa di studio su 5 si perde per strada, si legge nel dossier Anaao, è in particolare perché l’assegnatario lascia la relativa specializzazione per tentare, l’anno successivo, il concorso d’ingresso a un’altra, ritenuta più attrattiva.
«Vengono abbandonate o non prese in considerazione nella maggioranza dei casi le specialità ospedaliere e pubbliche, protagoniste nella lotta alla pandemia da Covid-19 — recita il report —. Prima fra tutte la medicina d’urgenza-emergenza: il 61% dei contratti statali resta inassegnato». Poi ci sono le borse di studio pagate dalle Regioni, nel Veneto 90 per un investimento di 10 milioni di euro, gravate però dallo stesso problema. Che si aggiunge ai concorsi per specialisti spesso deserti. «La medicina sta diventando un affare selettivo, in cui le specialità più colpite e sotto pressione durante la pandemia, quelle gravate da maggiori oneri e minori onori, sono in caduta libera, non hanno più appeal — conferma Pierino Di Silverio, segretario nazionale di Anaao Assomed —. Occorre un cambio immediato di passo, che riconsegni la sanità ai professionisti attraverso retribuzioni adeguate, la depenalizzazione dell’atto medico, l’aumento delle assunzioni e la cancellazione del tetto al personale (fermo alla spesa del 2004 meno l’1,4%, ndr ). Ancora oggi tagliola su Regioni e aziende sanitarie, che incentiva il lavoro a cottimo» .