Il mercato delle carni avicole e delle uova ha raggiunto nel 2022 prezzi record, mai registrati in passato. Se ci si ferma a queste evidenze il settore sembra attraversare una lunga stagione di successi. In realtà l’avicoltura italiana sta affrontando sfide importanti dalle quali può dipendere il suo futuro.
Mai era successo che il settore dovesse fronteggiare nello stesso tempo emergenze sanitarie, improvvisi aumenti di costi per le crisi geopolitiche e mutamenti delle abitudini alimentari conseguenti alla pandemia da Covid-19.
Ma andiamo con ordine, partendo da una “fotografia” del comparto avicolo.
Quanto vale l’avicoltura
Vediamo allora i “numeri” dell’avicoltura italiana, che mettendo insieme carne e uova arriva a produrre un fatturato di circa 3,5 miliardi di euro, ai quali si aggiungono gli oltre sei miliardi del comparto industriale, quello che si occupa della trasformazione dei prodotti avicoli.
Per fare un confronto, uova e pollame rappresentano circa l’8% dell’intero fatturato agricolo, quasi quanto valgono tutte le altre carni, che nel loro insieme raggiungono il 12,5% del fatturato agricolo, come evidenzia uno degli ultimi rapporti di Ismea sul comparto avicolo.
Le sfide
Un settore di importanza strategica visto che si tratta di uno dei pochi segmenti dell’agroalimentare italiano nel quale possiamo vantare livelli di autosufficienza della produzione interna.
Un risultato raggiunto grazie a un’efficiente struttura produttiva, fortemente integrata nelle sue diverse fasi, dalla produzione alla trasformazione.
Punti di forza messi a dura prova dai ricorrenti episodi di influenza aviaria che hanno interessato le aree produttive più importanti, come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, dei quali AgroNotizie ha più volte riferito.
E’ in queste regioni che si concentra oltre la metà del patrimonio avicolo italiano e la diffusione del virus ha pesato sensibilmente sul comparto, comprimendo la produzione in un momento di crescita della domanda.
Un problema, a dire il vero, che non ha riguardato solo l’Italia, questo dell’influenza aviaria, ma che ha coinvolto gran parte dei paesi europei.
La “corsa” delle uova
Il calo della produzione e la crescita della domanda di carni avicole, in particolare durante le fasi più critiche della pandemia da Covid 19, è fra le principali motivazioni della costante risalita dei prezzi di mercato delle carni.
Ancor più evidenti gli effetti sul comparto delle uova, dove la ripresa della produzione sconta tempi più lunghi rispetto al ciclo della carne.
Una crescita dei prezzi di mercato che ha coinvolto tutto il settore europeo e che solo a fine gennaio ha mostrato modesti segnali di cedimento.
Il prezzo medio dei broiler si colloca a 255,94 euro per quintale il 2,2% in meno rispetto al mese precedente, ma il 16,65% in più rispetto a un anno fa.
Aumenti ancor più significativi si registrano per le quotazioni delle uova, che hanno raggiunto a livello europeo una media di 246,87 euro al quintale, il 72,2%% in più rispetto a un anno fa, come evidenziano le analisi della Commissione europea.
Il mercato italiano
Questa la situazione a livello europeo.
Non è dissimile la situazione sui mercati italiani, con le quotazioni di 18,95 euro per 100 uova da allevamento a terra.
il 24,4% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, come si apprende consultando le analisi di mercato di Ismea.
Una crescita dei prezzi che tuttavia cela aspetti negativi. Per quanto sostenuto, questo buon andamento del mercato non è stato in grado di assorbire i maggiori costi che il settore ha dovuto affrontare negli ultimi mesi.
Il comparto avicolo, più degli altri settori della zootecnia, è fortemente legato al consumo di cereali e proteaginose, materie prime che hanno subìto forti rincari.
I modelli di allevamento, con ampio ricorso a strutture protette, richiede un condizionamento ambientale sensibilmente energivoro, il che si traduce in un ulteriore aumento dei costi.
Prezzi elevati
Inevitabile il ribaltamento di tali costi, seppure parziale, sul prodotto finale.
L’aumento dei prezzi allo scaffale, che coincide con una congiuntura economica difficile, ha finito per condizionare le scelte del consumatore, che si è allontanato dalle carni avicole a vantaggio di quelle di suino (+4,9% le suine e -2,9% le avicole).
Questa caduta della domanda potrebbe finire con il mortificare i prezzi all’origine, con una pericolosa erosione dei margini degli operatori, che potrebbero virare in area negativa.
I primi segnali già si fanno sentire e le rilevazioni di Ismea per il mercato dei polli evidenziano nella seconda settimana di febbraio prezzi di 1,30 euro al chilo all’origine, con una flessione di oltre il 18% rispetto all’anno precedente.
Le prospettive
A dispetto di queste cadute, le analisi di Rabobank, importante istituto di osservazione sugli orientamenti del mercato, restano improntate all’ottimismo.
Stando ad alcune sue recenti valutazioni, il settore avicolo mondiale si appresta ad affrontare il 2023 con buone possibilità di crescita.
Non mancano tuttavia alcune sfide da superare, come quella dei prezzi elevati. Sebbene le carni avicole siano quelle più competitive, un aumento del loro prezzo potrebbe portare a un calo della domanda fra i consumatori a basso reddito, un’evenienza più probabile nei mercati emergenti.
Un ostacolo superabile contenendo i costi e ottimizzando ogni fase della produzione. Influenza aviaria permettendo.
fonte AgroNotizie