Repubblica. Al concorso per 18 posti da vigile del Comune di Manfredonia, nel 2011, si erano presentati 3.300 candidati. Altra epoca: oggi, ad Asti, il sindaco Maurizio Rasero ha appena bandito un secondo concorso a stretto giro dal primo perché, spiega, «ne avevamo assunti dieci, ma poi hanno vinto la selezione in altri Comuni più vicini e se ne sono andati, così noi dobbiamo ricominciare daccapo. Continuiamo ad avere 70 vigili, ce ne servirebbero altri venti ma non riusciamo ad assumerli».
Si è rovesciato il mondo dei concorsi pubblici in Italia. Se fino a qualche tempo fa un esercito di aspiranti si ammassava per conquistare uno dei posti messi a bando, oggi sono le amministrazioni, a cominciare da Regioni e Comuni, a lottare per trovare – e poi trattenere – quelle persone. Spesso senza successo. Il Formez, l’associazione della presidenza del Consiglio dei ministri che gestisce parte dei concorsi pubblici, calcola che in media negli ultimi anni sia rimasto scoperto il 16,5% dei posti, con un picco del 19,9% nel 2021, anno di forte ripresa delle selezioni della Pubblica Amministrazione, dopo lo stallo della pandemia.
Cosa sta succedendo? Il posto pubblico ha perso attrattività? La risposta non è semplice: un primo elemento è che, a differenza di una volta, quel posto non è necessariamente fisso, anzi lo è sempre di meno, e non solo perché i tanti bandi del Pnrr prevedono solo assunzioni a tempo determinato. Tra i 124 bandi pubblicati dal Formez tra gennaio 2021 e il 30 giugno 2022 i contratti a tempo indeterminato sono meno della metà. Non bisogna stupirsi che quindi oltre un terzo dei vincitori del concorso “Mef 500” – con cui il Tesoro voleva selezionare laureati per la gestione del Pnrr abbia optato per il concorso “Unico funzionari”, che garantiva invece un contratto a tempo indeterminato. D’altra parte la valanga di concorsi banditi negli ultimi due anni lascia ai più preparati ampia scelta. Il 41% si candida a più di due, ma c’è un nutrito drappello di quasi 50 mila candidati che sceglie tra 5 e 9 concorsi, e persino 1381 persone che partecipano ad oltre 15 selezioni.
Pluricandidati che spesso diventano plurivincitori, e optano per il posto migliore. La scelta avviene anche a priori: se tra il 2019 e il 2020 c’erano in media 207 candidati per ogni posto a concorso, tra il 2021 e il 2022 erano diventati 40, a causa della moltiplicazione dei bandi. Guardando solo a quelli Formez, tra il 2010 e il 2015 la media è stata meno di tre l’anno, tra il2016 e il 2019 si è arrivati a sei, nel 2021 il balzo a 105. E mentre i concorsi aumentano, i giovani diminuiscono, è l’inverno demografico: «I nati negli anni ‘60 che stanno per andare in pensione sono un milione – ricorda il presidente del Formez Alberto Bonisoli – mentre i nati nel 1990 sono 550 mila».
Oltre ai concorsi aumenta anche il numero dei profili ricercati, perché la Pa non intende solo sostituire chi va in pensione, ma cerca di arricchirsi di competenze tecniche. Non più solo giuristi, insomma, ma anche tanti ingegneri e informatici. Facile a dirsi, difficile a farsi: in Italia sono merce rarissima, difficili da reclutare pure per le imprese private, disposte a pagarli più della Pa. I laureati del gruppo giuridico costituiscono il 40,9% dei partecipanti ai concorsi, quelli del gruppo scientifico lo 0,8%, gli informatici lo 0,2%. E se i tassi di “scopertura” dei posti con profilo giuridico sono molto bassi, per i tecnici superano il 70%.
Problema di stipendio, ma non solo. Un anno fa Vincenzo Racca, sviluppatore, ha dichiarato orgogliosamente su Linkedin di aver rifiutato un posto nella Pa perché «lavorare con tecnologie vecchie non mi interessa». A settembre ha deciso invece di accettare l’offerta di Pago.PA: «Ho un contratto che mi permette di lavorare tutti i giorni in smart working, e seguo progetti interessanti con tecnologie nuove ». Per i profili più ricercati insomma l’offerta va ritagliata su misura. E un uso ragionato dello smart working aiuterebbe, visto che il 61% dei vincitori risiede al Sud e non sempreè disposto a trasferirsi al Nord, considerato anche il costo della vita più elevato. Per questi profili vanno anche innovate le procedure di selezione, osserva Bonisoli: «Se faccio un concorso per dieci ingegneri, e se ne presentano undici, meglio evitare prove sulle competenze giuridiche e concentrarsi sulle competenze “core”. Il codice degli appalti possono studiarlo anche dopo».