Con una svalutazione che ormai tende a superare il 12 per cento a fine 2022 e non sembra poter avere sostanziali frenate per il prossimo anno, i trattamenti pensionistici prevedevano un intervento che avrebbe potuto, anche solamente in parte, impedire il crollo del valore d’acquisto dei loro importi.
Le premesse erano piuttosto positive, anche se il tasso d’ inflazione calcolato dall’Istat si era fermato al 7,3 per cento. Tuttavia la perequazione, riprendendo quanto già attuato per il 2022, permetteva un recupero discreto anche se differenziato rispetto agli importi dei trattamenti. La norma in vigore consentiva di ottenere l’importo dell’inflazione nella misura del 100 % per le fasce dei trattamenti pensionistici fino a quattro volte la pensione minima Inps; nella misura del 90% per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra quattro e cinque volte il trattamento minimo Inps; nella misura del 75% per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il predetto trattamento minimo.
Ma necessità di cassa hanno profondamente snellito quanto promesso, con un effetto punitivo per i pensionati sopra i 2.500 euro di pensione lorda, per cui si è passati dalle misure già previste ad una riduzione del recupero per gli importi da 4 a 5 volte il minimo con l’ 80 % , al 55 % per pensioni da 5 a 6 volte il minimo, del 50 % da 6 volte a 8 volte il minimo, del 40 % da 8 a 10 volte il minimo e il 34 % per gli importi superiori. Ma non è bastato. In corso della discussione del disegno di legge del bilancio si è assistito ad un’altra erosione per le fasce superiori a 5 volte il minimo portando al 53 % ( 3,869 % del 7,3 previsto dall’Istat quale inflazione 2022) il precedente 55 %; dal 50 al 47 % ( 3,431 % del 7,3 % ) quelle fino a 8 volte il minimo; dal 40 % al 37 % ( 2,701 del 7,3 % ) per quelle fino a 10 volte il minimo; e dal 35 al 32 % ( 2,336 % del 7,3 % ) quelle oltre dieci volte.
Se si considera, poi, che, i pur modesti incrementi, non vengono realizzati con riferimento agli scaglioni, così come attivato nel caso dell’ Irpef, ma in funzione della fascia in cui l’importo totale della pensione si colloca, per cui l’incremento, o meglio sarebbe dire il decremento del recupero, si riferisce a tutto l’importo della pensione. Ma non ci si ferma a questo. L’Inps, con la circolare n. 135 del 22 dicembre interviene bloccando i pur modesti incrementi previsti da attribuire dal 1° gennaio 2023. L’Inps chiarisce, infatti, che, in attesa dell’entrata in vigore della legge di Bilancio 2023, che rimodula le modalità di attribuzione della rivalutazione automatica anche per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici superiori a 4 volte il trattamento minimo, per evitare la corresponsione di prestazioni indebite, la rivalutazione provvisoria 2023 verrà attribuita al 100 % solamente ai beneficiari il cui importo cumulato di pensione sia compreso nel limite di 4 volte il trattamento minimo in pagamento nell’anno 2022 ( pari a 2.101,52 euro). E solo sulla prima rata utile “al momento di approvazione della norma indicata” (come impropriamente recita la circolare in commento ) per i pensionati il cui trattamento pensionistico cumulato è superiore al limite di 2.101,52 euro. Ci sarà, quindi, da attendere. Ma ci sarà anche da attendere molto di più per avere l’adeguamento all’inflazione definitiva, il cui calcolo, in genere, viene previsto a fine anno : forse nel novembre 2023 !