La Stampa Una cosa è certa: non siamo all’ultimo capitolo dell’evoluzione del coronavirus. Eccoci, a tre anni dall’esordio di Sars-Cov-2, ad interrogarci sul «quando» arriverà finalmente il tempo in cui potremo ignorare i nomi delle sottovarianti, proprio come avviene oggi per i ceppi virali che causano l’influenza stagionale. Che l’evoluzione del coronavirus non rallenterà tanto presto ce lo annuncia, stando ad un virologo dell’Imperial College di Londra, il lignaggio XBB.1.5 – derivazione di una variante SARS-CoV-2, XBB – con una rara mutazione che potrebbe migliorare la sua infettività e creare le condizioni per ulteriori guadagni evolutivi.
Nella danza delle sottovarianti in continua evoluzione del coronavirus che circolano a livello globale è l’ultima arrivata, essendo stata avvistata a New York l’ottobre scorso. Ma è subito diventata una sorvegliata speciale, dato che presenta un’elevata serie di mutazioni che sembrano favorirla nell’eludere le difese immunitarie e migliorare la sua capacità di invadere le cellule.
Indicata in alcuni importanti giornali e siti di notizie con l’inquietante soprannome di «Kraken», un mostro mitologico, costituisce circa il 28 per cento dei casi di COVID-19 negli Stati Uniti, secondo le proiezioni dei Cdc, Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie. Al momento è diffusa in 28 Paesi, stando ai dati dell’Oms, e la sua prevalenza è in aumento a livello globale. Quasi certamente dominerà presto nell’intero pianeta, secondo un immunologo della Peking University di Pechino che ne sta studiando le proprietà. Gli interrogativi sul tappeto sono tanti: è più pericolosa delle precedenti? Si diffonde più facilmente? Rappresenterà «una minaccia globale» ( per riprendere la domanda contenuta in un articolo comparso ieri su Nature)? Influenzerà l’epidemia di Covid in Cina?
Come sempre è accaduto in questi tre anni, le risposte di scienziati, virologi, biologi evoluzionisti, responsabili tecnici e consulenti dell’Organizzazione mondiale della Sanità, non sono univoche. Peraltro il calo dei test per Covid-19 rende difficile misurare l’impatto di XBB.1.5 negli Stati Uniti, non del tutto chiaro; l’ondata di freddo negli Stati nord-orientali, e gli assembramenti familiari durante le festività natalizie, potrebbero aver spinto, almeno in parte, l’apparente ondata di casi, attentamente monitorata dall’amministrazione Biden. Secondo qualche virologo, la variante non dovrebbe causare, nei Paesi con elevata copertura vaccinale, un grande aumento di infezioni o ricoveri, grazie all’elevata immunità accumulata dall’esposizione a precedenti ondate di Covid-19 e alle vaccinazioni, in particolare i recenti richiami per le persone più a rischio di malattia grave.
Sebbene non sia ancora presente in gran parte del mondo, la nuova sottovariante, «la più trasmissibile mai rilevata» – come ha affermato Maria Van Kerkhove, responsabile tecnico del Covid-19 presso l’Organizzazione mondiale della sanità – potrebbe diffondersi rapidamente a livello globale. La variante XBB.1.5 è già diffusa in altri Paesi e sta aumentando velocemente in alcuni Stati europei, come Germania e Danimarca, mentre in Cina dominano vecchie conoscenze, due lignaggi Omicron. Guardando a questa realtà – e alla strategia di controllo alle frontiere dei viaggiatori cinesi adottata dai vari Paesi – Tom Wenseleers, un biologo evoluzionista dell’Università di Leuven (Belgio), ha affermato che la diffusione di XBB.1.5 al di fuori della Cina lo ha reso scettico sulle restrizioni imposte ai viaggiatori cinesi. Del resto la lezione che Omicron ha impartito poco più di un anno fa – quando è stata isolata per la prima volta, in Sud Africa alla fine di novembre 2021 – è chiara: l’America bloccò allora i viaggi dall’Africa meridionale per impedire la diffusione di quella nuova variante. Ma, a metà dicembre, Omicron circolava negli Stati Uniti. Come dimostra una discreta mole di studi, le restrizioni di viaggio non impediscono al Covid di attraversare i confini: solo se vengono implementate mentre i casi sono pochi e sotto controllo – e prima che i viaggiatori abbiano avuto la possibilità di diffonderla – possono ritardare la diffusione di una variante. —
Simile a Omicron, ogni positivo infetta 15 persone
l1Cos’è la variante Kraken?
È pur sempre una discendete di Omicron, parente stretta dalla sottovariante Gryphon, a sua volta figlia di Ba.2, la seconda versione della stessa Omicorn. Per questo le sue caratteristiche non sono troppo dissimile dalle varianti già circolanti da noi e in Europa.
l2Dove si è diffusa di più?
In Europa è al momento solo al 2,5%, in Cina è stata rilevata ma le autorità non fanno sapere in che misura circoli. Ma per capIre quanto possa diffondersi rapidamente, basti pensare che negli Usa in poco tempo è passata dall’1 al 41% dei casi di contagio.
l3Da cosa deriva il nome Kraken?
Dal calamaro gigante e mostruoso della mitologia vikinga.
l4Vuol dire che dovremmo temerla?
In parte sì, perché è comunque molto più contagiosa per via della sua maggiore capacità di riconoscere il recettore ACE 2, la porta d’ingresso che il virus utilizza per entrare nelle cellule e diffondersi nell’organismo. Si calcola che ogni persona contagiata con XBB.1.5, questo il nome scientifico di Kraken, ne infetti altre 15. «Probabilmente è il virus più contagioso che sia mai apparso sul pianeta, anche se negli Usa il tasso dei ricoveri è molto basso perché c’è una buona percentuale di vaccinati», afferma Francesco Le Foche, immunologo del Policlinico Umberto I di Roma.
l5Ma genera forme più gravi di malattia?
Dai casi osservati si può dire di no. I suoi sintomi sono simili a quelli generati da Omicron: tosse, mal di gola, naso che cola, febbre e dolori sia articolari che muscolari. Ma nemmeno Kraken sembra avere la capacità di penetrare nelle basse vie respiratorie, generando così le polmoniti che tante vittime hanno mietuto nell’era pre Omicron. Però essendo molto più diffusiva colpisce anche un maggior numero di persone fragili e con il sistema immunitario compromesso, che in questo caso rischiano ugualmente di finire in ospedale o peggio.
l6I vaccini sono efficaci anche contro questa sotto variante?
Dai casi osservati tanto l’immunità indotta dai vaccini che quella generata da precedenti contagi sembrano proteggere almeno all’80% dalle forme gravi di malattia che portano all’ospedalizzazione. E comunque l’immunizzazione indotta da entrambi favorisce la produzione dei linfociti T, capaci di riconoscere e uccidere il virus anche quando gli anticorpi sono oramai diminuiti. Ma per rafforzare la protezione resta indispensabile la quarta dose