La Stampa. «Prive di basi scientifiche». In una parola: «Inaccettabili». La Cina definisce così le misure introdotte da diversi Paesi nei confronti di tutti coloro che arrivano dal suo territorio. L’Europa dà però segni di unità sulle azioni da intraprendere di fronte alla recente ondata di contagi che ha colpito la Repubblica popolare dopo la decisione di smantellare le restrizioni della strategia zero Covid voluta da Xi Jinping.
«Siamo pronti a intensificare la comunicazione con il resto della comunità internazionale», ha dichiarato ieri Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, prima di passare all’attacco contro provvedimenti ritenuti «sproporzionati». Poi la minaccia di possibili ritorsioni: «Ci opponiamo fermamente alla pratica di manipolare le misure di prevenzione e controllo delle epidemie per raggiungere obiettivi politici e adotteremo misure corrispondenti secondo il principio di reciprocità». In realtà, per quasi tre anni e fino a domenica 8 gennaio, tutti coloro che dall’estero arrivano in Cina devono far fronte a diverse limitazioni sia sulla (difficile) concessione di visti sia su tamponi e quarantene all’arrivo. Ma Pechino ritiene le nuove restrizioni discriminatorie perché rivolte alla sola Cina.
Prospettiva smentita da Antonio Tajani. «Mi sembrano misure normalissime, è a tutela della salute fare un tampone, non ha nulla di offensivo», ha detto il ministro degli Esteri italiano su Rai1. «Abbiamo il diritto di difendere la salute degli italiani e degli europei per evitare che ci sia una nuova pandemia». Le misure all’arrivo rappresentano un nuovo test sui rapporti tra Roma e Pechino, nessuno si è dimenticato che a fine gennaio 2020 l’Italia fu il primo Paese occidentale a bloccare i voli diretti con la Repubblica popolare. Una mossa che creò non pochi dissapori e fu vissuta come un voltafaccia a meno di un anno di distanza dall’adesione del governo gialloverde alla Belt and Road.
Condivide l’introduzione dei test anche Roberto Burioni: «Visto che dei dati cinesi non ci si può fidare, la sorveglianza nei confronti di chi arriva è fondamentale non per ostacolare il contagio ma per accorgersi subito di nuove varianti più pericolose, molto improbabili ma non impossibili», ha scritto su Twitter il virologo. Secondo una nota del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc), «le varianti che circolano in Cina stanno già circolando in Europa, quindi non rappresentano una sfida per la risposta immunitaria dei cittadini europei».
La commissaria europea per la Salute, Stella Kyriakides, ha comunque preannunciato l’introduzione in tutta l’Ue del tampone per i viaggiatori in arrivo dalla Cina (da effettuare prima della partenza) al termine di una riunione del Comitato per la sicurezza sanitaria che «si è dimostrato unito sulle azioni da intraprendere». Oltre alla dimensione sanitaria, la compattezza degli stati membri sulla questione ridurrebbe il rischio di uno scontro diplomatico a livello bilaterale tra i singoli Paesi e la Cina. La Commissione Ue ha anche dichiarato di aver offerto vaccini gratuiti a Pechino, che per ora non ha accettato. La produzione interna di vaccini «può soddisfare la domanda», sostiene il governo cinese, che non ha mai approvato la somministrazione dei vaccini internazionali.
Sul fronte interno, intanto, nelle grandi città la curva dei contagi sembra iniziare a diminuire, anche se i dati ufficiali colgono in minima parte l’andamento pandemico. Nelle strade di metropoli come Pechino, Shanghai, Chongqing e Guangzhou si vedono segnali di ritorno a una semi normalità, coi media a sostenere che il picco in alcuni casi sarebbe stato già superato. Prospettive preoccupanti per le province rurali, dove il sistema sanitario è molto meno efficace e capillare. Con le festività del Capodanno lunare alle porte, nelle zone d’origine rientreranno milioni di lavoratori fuori sede. Le prossime settimane saranno una sfida probante per la tenuta di tante aree della Cina. —