«Ciascuno faccia il proprio mestiere», alza lo sguardo Mattarella dal discorso che sta pronunciando nella sala del Quirinale, dove i condizionatori esalano un filo di fresco e l’Associazione della stampa parlamentare gli ha appena consegnato il Ventaglio. «Ognuno cerchi di far bene la sua parte», specifica il capo dello Stato, senza pretendere di esercitare «abusivamente» il ruolo di altri. La platea dei giornalisti non fa in tempo a chiedersi chi mai coltivi ambizioni del genere, che il presidente esemplifica: «Iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre l’attività del Parlamento ai giudizi della magistratura», scandisce, «si collocano fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate».
Dunque c’è qualcuno, se ne deduce, che vuole mettere in piedi commissioni d’inchiesta volte a riscrivere le sentenze dei tribunali. E guarda caso, la Camera ha appena dato il via libera alla Commissione parlamentare sul Covid col chiaro intento di processare i governi dell’epoca. La maggioranza di governo, spalleggiata dai centristi di Azione e di Italia Viva, intende indagare su tutte le vere o presunte malefatte di Giuseppe Conte nonché dell’ex ministro Roberto Speranza nonostante l’archiviazione delle accuse nei loro confronti (disposta il 7 giugno scorso dal Tribunale dei ministri di Brescia). Una volta avviata con poteri tipici della magistratura, e senza confini chiari, l’inchiesta finirebbe inevitabilmente per lambire pure l’operato di Draghi con l’obiettivo di lisciare il pelo all’elettorato no-vax (tra dieci mesi si vota alle elezioni europee).
Mattarella ne fa una questione di principio: no alle invasioni di campo. Guai a svilire le toghe. «Non esiste», avverte, «un contropotere giudiziario del Parlamento usato parallelamente o, peggio, in conflitto con l’azione della magistratura». La Corte costituzionale l’ha già messo due volte in chiaro, la prima nel 1975 (sentenza numero 231), specificando che l’attività parlamentare d’inchiesta «muove da cause politiche e a finalità del pari politiche; né potrebbe volgersi ad accertare reati e connesse responsabilità» perché, in quel caso, «invaderebbe indebitamente la sfera di attribuzioni dell’ordine giurisdizionale», appunto. Per i costituzionalisti di casa al Colle quella sentenza è una stella polare. Ma c’è dell’altro. La Commissione parlamentare sul Covid, per come l’hanno congegnata, dovrà valutare la «legittimità» dei provvedimenti emergenziali che vennero allora decisi, se erano leciti o meno in base alla Costituzione.
Dal mazzo di domande che gli ha posto Adalberto Signore (presidente della stampa parlamentare) il capo dello Stato ha colto fior da fiore. Sul cambiamento climatico ha definito sorprendenti le «tante discussioni sulla fondatezza dei rischi». Pungente una risposta sulla libertà di stampa: «Sarebbe fuorviante», ha fatto notare Mattarella, «immaginare che organismi terzi possano ricevere incarico di “certificatori” della liceità di flussi informativi», cioè di super-controllori dei giornalisti. Guarda caso, proprio in queste ore è entrato in vigore un decreto emanato dal sottosegretario Alberto Barachini che introduce per le agenzie di stampa la figura del “garante” esterno, incaricato di vigilare contro la diffusione di fake news; l’intento è lodevole, ma di controllo in controllo chissà dove si potrebbe arrivare. Stando a fonti governative attendibili, i dubbi del presidente avrebbero provocato ieri sera un’immediata interlocuzione tra governo e Quirinale per fugare ogni pericolo di censura.
Non sono mancate, nel discorso, garbate ramanzine e ruvide carezze. Delle prime ha fatto le spese l’opposizione che contesta i ritardi del governo sul Pnrr e, nel vivo della lotta, dà l’impressione talvolta di puntare sul tanto peggio, tanto meglio. «Non si tratta di una questione del governo, di questo o dei due precedenti, ma dell’Italia», ha fatto pesare Mattarella. Per cui «l’invito a tutti di mettersi alla stanga che mi ero permesso di avanzare tempo addietro è rivolto appunto a tutti». Pd e Cinque stelle compresi. Il riconoscimento, invece, è stato riservato a Giorgia Meloni per come il governo si sta muovendo sull’immigrazione: lavorando per l’Africa e cercando sponde e solidarietà in Europa anziché sterili contrapposizioni. «L’assunzione della consapevolezza di dover governare il fenomeno in sede europea», testimonia il presidente, «è un risultato, un punto di base di grande importanza». Meglio tardi che mai.
La Stampa