Research4life (un progetto nato nel 2015 per diffondere informazioni corrette soprattutto nell’ambito della sperimentazione animale), in un articolo che fa riferimento agli ultimi dati disponibili, riferiti al 2020 e raccolti dall’Ufficio 6-Tutela del benessere animale, igiene zootecnica e igiene urbana veterinaria della Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari del ministero della Salute.
Ancora in calo il trend di uso degli animali per la sperimentazione in Italia. Lo rivelaIn particolare nel 2020 sono stati usati 451.991 animali. Un totale comprensivo anche degli individui usati per creazione/mantenimento di linee geneticamente modificate. Senza contare questi ultimi il valore scende a 443.881. Nel 2019 il numero totale era stato 548.933 e andando indietro negli anni fino al 2015, primo anno di riferimento si nota un picco massimo nel 2016 con 606.676 animali usati per scopi scientifici.
Il confronto europeo
Numeri comunque molto inferiori di altri Paesi europei. Come la Germania che nel 2020 ha utilizzato per la prima volta 1.494.983 animali per la ricerca scientifica e la Francia con 1.477.344 di individui (totale che non include gli animali impiegati per creazione/mantenimento di linee geneticamente modificate). Tre volte tanto il consumo italiano. Tra le specie coinvolte, in Italia, in linea con quanto avviene nel resto dell’Ue, i topi sono oltre la metà degli animali impiegati per la sperimentazione; seguono i ratti e, in percentuali via via decrescenti, altre specie.
Una conferma dello scarso investimento in ricerca
Ma con che scopo vengono utilizzati gli animali dai ricercatori? La risposta a questa domanda mostra un’altra differenza tra il nostro Paese e gli altri Stati europei come i già citati Francia e Germania. Se infatti in questi ultimi la sperimentazione animale è utilizzata per lo più per la ricerca di base e applicata/traslazionale, in Italia il primo campo di utilizzo è il regolatorio. Gli animali cioè, sono usati per lo più per eseguire i controlli previsti dalla normativa e verificare efficacia e tossicità delle sostanze. “Un dato che può far riflettere – sottolinea Research4life, che già aveva evidenziato il problema – perché indice dello scarso investimento in ricerca, a livello nazionale”.
Il riutilizzo degli animali
Infine i numeri sul riutilizzo degli animali, mostrano che in Italia la pratica è ancora poco limitata e si ferma addirittura sotto l’1% (per il 2019, la percentuale era del 1,31%). Va leggermente meglio in Germania e Francia, dove rispettivamente arriva al 2,75% e 2,26%. Se è vero però che da tempo ormai la ricerca scientifica e la sperimentazione animale in UE sono guidate dal principio delle 3R (Replace, Reduce e Refine) e i riutilizzi consentono di ridurre gli individui impiegati, non va dimenticato che questa pratica può andare a scapito del benessere dell’animale stesso che, sottoposto più volte a una procedura, può risultare stressato o sofferente.