Stefano Lepri, la Stampa. Davvero può essere che il livello di evasione fiscale dipenda da chi sta al governo? Una polemica che va e viene da un quarto di secolo trova uno spunto nuovo, e molto forte, in dati recentissimi. Da gennaio a maggio, il gettito dell’Iva sugli scambi interni è cresciuto del 5% mentre nelle previsioni dello stesso governo doveva andare oltre il 9%. Gli incassi dell’Iva vanno con i prezzi e dunque di questi tempi è normale che aumentino parecchio. Nel 2022 erano risultati superiori del 12,3% rispetto all’anno precedente, sempre nei dati del ministero dell’Economia. Come mai ora vanno peggio del previsto? Dalle prime impressioni degli esperti, non si scorge la presenza di fattori eccezionali.
Tra vari motivi di preoccupazione sui conti dello Stato che sono emersi nei giorni scorsi, questo dell’Iva sembra il più concreto, anche perché minaccia di durare. Altri potrebbero rivelarsi poi transitori; gli esperti sono divisi su come valutarli e mancano le certezze. Ma se il gettito Iva confermasse la traiettoria presa dall’inizio dell’anno, potrebbero mancare 4 o 5 miliardi a fine 2023.
Le scelte dei contribuenti nel dichiarare più o meno possono essere influenzate da valutazioni personali o dai consigli dei commercialisti. Quando un capo del governo avvicina il pagamento delle tasse al «pizzo» preteso dalla malavita specie nel Mezzogiorno, quali pensieri si formano nella testa di chi scrive in una dichiarazione cifre dalle quali risulteranno soldi da pagare?
Dall’inizio degli anni ’90 le tasse sono al centro del dibattito politico. La Democrazia cristiana dopo 46 anni al governo vide il suo elettorato dissolversi dopo la rivolta dei commercianti contro la «minimum tax» adottata dal governo Amato 1 nel 1992. Promettendo meno tasse Silvio Berlusconi vinse tre campagne elettorali (1994, 2001, 2008) e ne perse di misura altre due (1996 e 2006).
Guardando ai grandi numeri, la promessa di «meno tasse» non è stata mai mantenuta. La pressione fiscale superò il 40% nel 1993, non è scesa mai sotto il 39%, e ora è al 43%. Le aliquote di prelievo sono rimaste alte sotto tutti i governi. Eppure, le categorie del lavoro autonomo, che pagano perlopiù autotassandosi, hanno trovato motivi per confermare la preferenza per le forze di destra.
All’interno di un carico tributario rimasto invariato o addirittura cresciuto – perché la politica non è mai riuscita a ridurre le spese – il peso si è spostato dal lavoro autonomo verso altri settori, sia con misure di legge sia per situazioni di fatto. Ai comportamenti di fatto apparterrebbe appunto la sensazione di poter dichiarare un po’ di meno quando è al governo la destra.
Fu Vincenzo Visco, ministro delle Finanze con Prodi, a vantare che con lui al governo il gettito fiscale aumentava senza bisogno di toccare le aliquote, perché i contribuenti adottavano comportamenti più corretti: «Quattro punti di Pil recuperati fra il 1996 e il 2000», e poi ancora un aumento nel 2006 cancellato di nuovo nel 2008 con il ritorno della destra.
Diversi studiosi di sinistra hanno cercato di trovarne nei dati la prova. Certezze non ce ne sono, qualche indizio sì. Ad esempio, secondo Michele Raitano docente all’Università di Roma 1 nel quinquennio di più solido potere del centrodestra, 2001-2006, i redditi dichiarati dai lavoratori autonomi sono marcatamente calati senza che nessun evento economico potesse giustificarlo.
Molti lavoratori autonomi si lamentano di fare fatica a tenere in vita le loro attività a causa del peso delle tasse. È vero, ma perché ce ne sono tantissimi, sia pure in calo negli ultimi anni. In tutti gli altri Paesi d’Europa, Grecia esclusa, ce ne sono di meno. E il fatto che ce ne siano così tanti induce a pensare che un atteggiamento favorevole da parte dei pubblici poteri, tutto sommato, ci sia stato.
Negli studi della Banca d’Italia, è appunto il gran numero di lavoratori autonomi e di piccolissime imprese a tener bassa la produttività della nostra economia, lasciandoci indietro rispetto ai Paesi vicini. Il nuovo trattamento fiscale di favore per le imprese piccolissime, il forfait a 85.000 euro, può distorcere il mercato, favorendo le imprese meno efficienti.
«Combattere l’evasione può però avere anche un effetto positivo sulla produttività, proprio per i suoi benefici riflessi sulla selezione delle imprese, la loro propensione a innovare ed espandersi» hanno scritto, sia pure a titolo personale, quattro economisti della Banca d’Italia. Si calcola che in assenza di evasione la spesa delle aziende per innovazione potrebbe aumentare del 35%.
Negli ultimi anni contro l’evasione si erano colti alcuni successi. L’obbligo di fatturazione elettronica ha portato a recuperi di gettito importanti senza suscitare proteste in grande stile; e così anche altre misure sempre dirette a rendere più difficile eludere l’Iva. Aiuta anche la sempre maggior diffusione del pagamento con carta di credito, che impedisce di nascondere incassi.
Difficile che da questi progressi si torni indietro. Però un pericolo si annuncia con la delega per la riforma tributaria, che farebbe tornare a una sorta di patteggiamento fra contribuente autonomo ed uffici fiscali. Per rendersi conto di ciò che potrebbe accadere basta recuperare il film del 1959 «I tartassati» con Totò nei panni del contribuente e Aldo Fabrizi in quello del funzionario fiscale. —