Difende il sistema pubblico e si innervosisce di fronte all’accusa di favoritismi nei confronti dei privati. «Né io né altri esponenti del governo abbiamo mai detto di voler privatizzare la sanità». Il ministro alla Salute Orazio Schillaci spiega che ci vogliono più soldi per il sistema sanitario nazionale. Servono intanto per pagare meglio il personale ma non solo. Per la prima volta azzarda anche una stima di quanto ci vorrebbe per rinforzare il fondo sanitario nazionale (oggi a circa 130 miliardi): 3-4 miliardi di euro. E dopo la manifestazione di sabato della Cgil ricorda: «La sanità ha problemi da molto prima che arrivassimo noi».
Ministro, molti di coloro che finiscono al pronto soccorso capiscono che la sanità pubblica funziona ancora bene. Lei cosa pensa?
«È vero e mi è piaciuto l’articolo di Paolo Rumiz suRepubblica. Dice quello che io sostengo da tempo: al di là di tutti i problemi che viviamo come sanità, i nostri cittadini riconoscono negli ospedali e nello specifico nei pronto soccorso dei posti dove vengono curati bene. Mi dispiace quando si parla male della sanità pubblica italiana, non è giusto, ogni giorno ci sono tantissime persone che ricevono un servizio di alta qualità.Soprattutto ci tengo a difendere gli operatori».
Lei è ministro di un governo di destra, la Cgil durante la manifestazione di sabato vi ha accusati di voler privatizzare la sanità. Cosa risponde?
«Nessuno è per il privato e contro il pubblico, nessuno vuole privatizzare. Non ho mai detto di volerlo fare io e nemmeno altri esponenti dell’esecutivo. Vorremmo anzi che il servizio sanitario nazionale fosse migliore. Ma attenzione, la sanità ha problemi da tempo, da 20 anni come hanno segnalato anche alcuni operatori dopo la manifestazione di sabato, non da quando siamo arrivati noi. In più ci si è messo il Covid, dopo il quale gli operatori si aspettavano maggiori attenzioni».
Eppure le voci preoccupate sul futuro della sanità sono tante. Il sistema pubblico sta davvero scricchiolando?
«Credo che la sanità abbia bisogno di più risorse e anche di cambiare il modello organizzativo. Il Covid ci ha fatto capire ancora meglio quello che serve. Bisogna intanto usare i fondi del Pnrr. Se è vero che, come dice anche Rumiz nel suo l’articolo, gli ospedali funzionano, la pandemia ci ha dimostrato che manca l’assistenza territoriale. A questa è dedicato un capitolo importante del Pnrr, che prevede dei fondi proprio per rafforzare questo servizio. La settimana scorsa ho avuto una proficua riunione con i presidenti delle Regioni: tutti hanno detto di voler collaborare per una medicina territoriale più forte. Con quella daremo finalmente una risposta ai cittadini, ad esempio evitando loro di finire in ospedale quando non ne hanno bisogno».
Le Regioni hanno anche chiesto di far passare alle dipendenze i medici di famiglia, che ora sono convenzionati con le Asl. Lei cosa ne pensa?
«Al di là dell’inquadramento di questi professionisti, vogliamo che operino, con soddisfazione, per aiutare la sanità territoriale. Li incontreremo proprio la prossima settimana per discutere del loro ruolo futuro, anche nelle Case di comunità, che vengono create dallo stesso Pnrr».
Ha parlato di maggiori risorse ma non ha detto quante. Di quanti soldi in più avrebbe bisogno il fondo sanitario?
«Con 3 o 4 miliardi in più potremmo risolvere i problemi. Di questi, circa 1,5 miliardi servirebbero per il personale, che deve essere pagato meglio, come dico da tempo. Abbiamo iniziato con i lavoratori dei pronto soccorso ma non basta. Ci accusano di non mettere abbastanza soldi per la sanità ma non ci dimentichiamo che il mancato pagamento dei conti del Covid alle Regioni lo abbiamo ereditato dal governo precedente. E le amministrazioni locali lo sanno. Comunque, i soldi da soli non bastano».
Di cos’altro c’è bisogno?
«Intanto ridurre gli sprechi. Uno di questi, sempre sottolineato anche dalle Regioni l’altro giorno, deriva dall’inappropriatezza. Cioè, dalla richiesta di prestazioni inutili. Si tratta di un problema connesso anche alla medicina difensiva, cioè alle prescrizioni di medici che hanno paura di commettere errori».
Non è legato anche al fatto che, per le carenze di organico, i medici vengono arruolati anche da giovanissimi, magari da specializzandi?
«Ma la nostra formazione universitaria è ottima. E la dimostrazione è anche nella grande richiesta di nostri giovani professionisti che arriva dall’estero. In tanti si spostano in altri Paesi».
E dal punto di vista organizzativo cosa serve?
«Ad esempio, sarà fondamentale la digitalizzazione, per raggiungere le persone al domicilio e combattere così le diseguaglianze, non solo tra Nord e Sud ma anche tra grandi e piccoli centri abitati. Anche su questo tema ci sono risorse del Pnrr».
Repubblica