Alte temperature e siccità potrebbero, anche quest’anno, essere i responsabili numero uno di una maggiore diffusione del West Nile Virus. «Se fino a qualche anno fa la febbre del Nilo occidentale era diffusa solo alle Maldive e nel Sud est Asiatico, ora anche l’Italia, soprattutto nelle regioni del Nord, è considerata una zona a rischio – dice Marco Falcone, infettivologo, segretario SIMIT, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, in un’intervista a Sanità Informazione -. Sono di solito le zone pianeggianti o paludose a favorire, per la loro umidità caratteristica, la circolazione del virus. Che, di contro, risulta molto raro in collina e in montagna».
West Nile Virus: 2023 VS 2022
Nel 2022 i contagi accertati sono stati oltre 500. Una situazione che per il 2023 potrebbe replicarsi, se non addirittura peggiorare: se temperature e siccità dovessero aumentare, come si prevede possa accadere anche questa estate in Italia, le zanzare, in cerca di acqua, entreranno maggiormente in contatto con l’uomo. «Il periodo di circolazione del virus nel nostro Paese è piuttosto ampio, si comincia dai primi tepori primaverili fino alla fine dell’estate, con possibilità di strascichi anche in autunno, laddove le temperature dovessero rimanere più alte della media stagionale», aggiunge Falcone. Durante l’estate 2022, stando ai dati raccolti in Italia dal mese di giugno in poi, i casi di West Nile nella forma neuro-invasiva sono stati 295, 194 i pazienti che hanno manifestato febbre, 37 hanno perso la vita.
Che cos’è il West Nile Virus
La febbre del Nilo occidentale, o West Nile fever, è causata dall’omonimo virus della famiglia dei flaviviridae. Il principale veicolo di trasmissione agli esseri umani sono le punture di zanzare. Il periodo di incubazione che intercorre tra la puntura e la manifestazione dei sintomi è molto variabile: possono trascorrere tra i due e i 14 giorni, fino alle tre settimane. Tuttavia, il contagio può avvenire, anche se di rado, tramite trasfusioni di sangue, trapianti di organi o con la trasmissione madre-feto in gravidanza. Il contatto interumano non è in grado di provocare la trasmissione del virus.
I Sintomi
Nella maggior parte dei casi le persone che si infettano non mostrano alcun sintomo. Nel 20% sintomi leggeri, simili a quelli influenzali: febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati, sfoghi cutanei, dolori muscolari e articolari. «Il periodo di malattia, infatti – sottolinea il segretario della SIMIT – può trascorrere senza che la persona sappia di aver effettivamente contratto il West Nile. In circa il 5% dei casi può causare un’infezione del sistema nervoso centrale, ovvero encefalite o meningoencefalite virali. In questi casi è necessaria l’ospedalizzazione: le forme gravi dell’infezione possono essere anche letali». Secondo le stime l’encefalite da West Nile è letale nell’1% dei casi in cui si manifesta (l’encefalite colpisce un paziente infetto su 1000).
Diagnosi e cura
La diagnosi avviene attraverso test di laboratorio per la ricerca di anticorpi del tipo IgM su siero e, se indicato, su fluido cerebrospinale. Tali anticorpi possono persistere fino ad un anno nei soggetti malati, di conseguenza una positività del test può indicare anche un’infezione pregressa. Allo stesso modo le analisi effettuate entro 8 giorni dall’insorgenza dei primi sintomi potrebbero risultare negative, pertanto, prima di escludere la malattia, è consigliabile ripetere il test di laboratorio a distanza di tempo. «Ad oggi non esiste un vaccino contro il West Nile. Il contagio può essere evitato solo utilizzando repellenti contro le punture di zanzare e, nelle zone in cui sia stata rilevata la presenza del virus – spiega Falcone – con procedure di bonifica e disinfestazione disposte dai servizi veterinari di competenza».
Virus di Marburg: l’allerta dell’Oms
Intanto, in queste ore i riflettori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono puntati sull’Africa dove sta circolando un altro agente patogeno molto più letale: il virus di Marburg. I casi ufficialmente segnalati in Guinea Equatoriale, stando alle dichiarazioni del direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus sono nove, tra cui sette letali. Tuttavia le difficoltà e l’inattendibilità dei monitoraggi effettuati in quelle zone fanno temere che il virus possa essere molto più diffuso.
Che cos’è il Virus di Marburg
Il virus appartiene alla stessa famiglia dell’Ebola, le Filoviridae, ed anche il quadro clinico risulta molto simile. La trasmissione del virus di Marburg, nella maggior parte dei casi, è associata alla frequentazione umana di ambienti dove sono presenti pipistrelli, come miniere e caverne. La malattia si manifesta inizialmente con febbre alta, cefalea acuta, brividi, malessere e dolori muscolari. Dopo due-tre giorni possono insorgere crampi e dolori addominali, nausea, vomito e diarrea. Nei casi più gravi, si arriva a febbre emorragica e sintomi neurologici, fino al decesso.
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