CORRIERE DEL VENETO Non è finita con il Sars-Cov2. Circolano 1,7 milioni di virus fra mammiferi e uccelli e almeno la metà potrebbe infettare l’uomo, responsabile di facilitarne la diffusione distruggendo l’habitat naturale degli animali vettore. Emerge dal rapporto Ipbes, la piattaforma intergovernativa sulla biodiversità, che ha analizzato la correlazione tra la diffusione delle pandemie e la costante perdita di biodiversità sul pianeta, concludendo: «Il modo in cui utilizziamo la Terra, l’intensificazione dell’agricoltura, la produzione e il consumo non sostenibili sconvolgono la natura e aumentano i contatti tra fauna selvatica, bestiame, agenti patogeni e persone».
Il piano
Se la scienza avverte, la politica non deve farsi trovare nuovamente impreparata, come accaduto per il Covid, affrontato con un Piano pandemico nazionale dal 2006 mai aggiornato da parte del ministero della Salute. Il Veneto la lezione l’ha imparata e a giugno 2022 la Regione ha predisposto il «Piano strategico operativo 2021-2023 di preparazione e risposta a una pandemia influenzale», aggiornato lo scorso novembre. E poi trasmesso alle aziende sanitarie, che ne hanno recepito le indicazioni declinandole a livello territoriale. È un documento di indirizzo che definisce chi fa cosa in caso di «pandemia da virus influenzale o da altri virus respiratori altamente trasmissibili e ad alta patogenicità» e anche dopo, «per guidare il ritorno alle normali attività, tenendo conto di nuove ondate dell’epidemia». La catena di comando, che parte dal governatore e coinvolge a vario titolo Unità di crisi, Comitato dei direttori generali, Gruppo di coordinamento regionale Panflu, Comitato per l’emergenza di sanità pubblica e Gruppo operativo a risposta rapida presenti in ogni Usl, quindi il Comitato tecnico scientifico e la Task force operativa, è addestrato a gestire quattro fasi. La interpandemica, con la normale sorveglianza delle sindromi influenzali nel periodo-tipo, cioè autunno-inverno; l’allerta, con l’identificazione di un nuovo virus; la pandemica, con la diffusione nel mondo del patogeno; e la transizione pandemica, in cui i contagi diventano stabili e le misure di contenimento meno stringenti, quindi si programmano il recupero delle attività e le riaperture. Nulla è lasciato al caso, tutto è codificato, anche l’approvvigionamento di dispositivi di protezione e attrezzature mediche e la comunicazione alla popolazione.
I coronavirus
Ed è un bene, perché la nuova minaccia può essere dietro l’angolo. «La natura ci sorprende sempre, ci sono virus con una maggiore propensione alla diffusione a livello globale, ma tanti sono ancora sconosciuti — dice Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza nazionale ed europeo per l’aviaria interno all’Istituto Zooprofilattico delle Venezie —. Le abitudini dell’uomo sono fondamentali: certi Paesi, come la Cina, dovrebbero evitare situazioni ad alto rischio, per esempio i mercati di animali selvatici vivi. L’attenzione è focalizzata sui virus influenzali e sui coronavirus. Quanto a questi ultimi, l’IZV è capofila di una ricerca strategica promossa dal ministero della Salute sulle forme animali in grado di infettare l’uomo».
Archiviata nel 2003 l’epidemia di Sars con 29 Paesi colpiti e 353 morti, ora oltre al Sars-Cov2 circola ancora la Mers, malattia con una dinamica molto simile alle altre due: arriva sempre dai pipistrelli, che la trasmettono a dromedari e cammelli, i quali hanno a loro volta infettato l’uomo in Oman e Arabia Saudita. Ogni tanto compare in Europa, collegata agli spostamenti intercontinentali ormai quotidiani di milioni di persone. «Ed è una situazione sotto la sabbia, perché non sappiamo se possa mutare e infettare un’intera popolazione — avverte Terregino —. Continua poi a evolversi Sars-Cov2, con la variante Kraken presente pure nel Veneto, insieme a Cerberus, Orthrus, Bythos, Gryphon. Tutte evidenziano una maggiore capacità di eludere gli anticorpi naturali e quelli indotti dal vaccino, si trasmettono più rapidamente delle varianti precedenti ma colonizzano soprattutto la parte superiore delle vie aeree. Sono il frutto della selezione tra mutazioni, che privilegia quelle in grado di sfuggire agli anticorpi».
L’aviaria
Il problema più grave a livello mondiale è però l’aviaria: sono in corso studi internazionali, che vedono coinvolto anche l’Izv, per la ricerca di nuovi serbatoi del virus. Potrebbe ripresentarsi in altre forme. «È stato individuato per la prima volta in Cina nel 1996, come Goose Guangdong virus — racconta Terregino —. Il progenitore ha generato una serie di discendenti che hanno rimescolato il virus degli uccelli selvatici con quello dei volatili domestici. Così dal 2014 conosciamo la forma di aviaria più evoluta, ad alta patogenicità, veicolata dagli uccelli migratori. In Europa non ci sono casi umani, ma in Asia, Nordamerica e Sudamerica si sono verificati salti di specie: sono stati infettati 3.500 leoni marini in Perù e i visoni da allevamento in Spagna. Siamo preoccupati perché l’aviaria sta ulteriormente evolvendo, nel tentativo di colpire i mammiferi in forma più grave, quindi è stato avviato un monitoraggio sull’avifauna da Ue e Fao, anche per arrivare a produrre prototipi di vaccini. Noi siamo in prima linea, in quanto centro di riferimento per l’aviaria riceviamo campioni da tutta Europa». L’Izv studia inoltre i Lyssavirus, sempre trasmessi dai pipistrelli e non da uomo a uomo, non protetti dai vaccini e letali per il soggetto morso da questi animali. Può accadere a persone a stretto contatto con i pipistrelli, per esempio gli speleologi.
La ricerca
Altre minacce incombono sull’Occidente: Nipha, virus a Rna diffuso dai pipistrelli in Malesia e Bormio, che infetta altri animali e l’uomo provocando anche la morte, e Hendra, ad alta letalità, finora riscontrato in Australia, nei cavalli, ma trasmissibile all’essere umano, sempre dai «bat», benché siano emersi casi sporadici. Nipha è l’esempio dell’evoluzione di fenomeni legati alla distruzione degli habitat naturali degli animali: in Malesia sono state distrutte intere foreste e i pipistrelli si sono spostati sugli alberi da frutto vicini ad allevamenti di maiali, infettandoli. I suini a loro volta hanno trasmesso il virus all’uomo e ne è nato un focolaio importante.
Proprio per capire cosa ci aspetta, l’IZV collabora con l’Università di Padova. A un’équipe coordinata dal direttore generale Antonia Ricci e dal professor Vincenzo Baldo, docente di Igiene, è stata affidata una delle cinque sezioni dei progetto finanziato dal Pnrr per valutare le malattie emergenti, «la sorveglianza One Health a livello locale, la sorveglianza zoonotica e la prevenzione dei rischi, a partire da quello dello spillover, cioè del salto di specie dei virus dall’animale all’uomo. «L’obiettivo è di creare una rete permanente di sorveglianza multidisciplinare per la prevenzione e il controllo delle zoonosi emergenti a livello locale — spiega Baldo —. E identificare nell’uomo e nell’ambiente i fattori associati alla nascita e alla circolazione delle malattie emergenti».