Made in Italy. Secondo il Rapporto Ismea Qualivita è il principale settore dopo quello vinicolo (11 miliardi di euro) con un numero di marchi d’origine protetta pari a quello della Francia, ma che vanta una produzione doppia in termini di volume e fatturato
Di fatto oggi non si parla più di una nicchia ma di una vera e propria “Dop Economy”, monitorata ogni anno da un rapporto realizzato da Ismea e dalla Fondazione Qualivita che restituisce lo spaccato di un settore che (tra vini e prodotti alimentari) nel 2021 ha realizzato un giro d’affari di 19,1 miliardi di euro (+16,1%) ed esportazioni per 10,7 miliardi (+12,8% sul 2020).
Un comparto che può contare su vere e proprie “portarei” dell’alimentare come Grana padano, Parmigiano reggiano, Prosciutto di Parma o – tra i vini – come il Prosecco. Brand sempre più conosciuti anche all’estero ma anche distretti che in Italia coinvolgono decine di migliaia di produttori risultando variabili trainanti l’economia dei territori.
In termini di giro d’affari il principale segmento dell’universo dei prodotti Dop e Igp è il vino che, secondo i dati del Rapporto Ismea-Qualivita ha realizzato un fatturato di oltre 11 miliardi di euro. Ma alle spalle del vino è trainante anche il comparto dei formaggi che vanta un giro d’affari di quasi 4,2 miliardi di euro (la metà dei quali realizzato all’estero) e trasforma in specialità a marchio Ue oltre il 50% del latte prodotto in Italia.
Un settore – quello dei formaggi made in Italy – che inoltre ha svolto una funzione chiave non solo in termini di fatturato, ma perché ha fatto da apripista proprio sul tema della valorizzazione della qualità delle produzioni. Si deve infatti all’universo dei formaggi la prima embrionale regolamentazione dei marchi di qualità legati ai territori con la Convenzione di Stresa del 1951. Una prima forma di promozione e tutela per formaggi tipici che ha consentito di gettare le basi di quella che quarant’anni più tardi (nel 1992) sarebbe diventata la regolamentazione Ue dei prodotti Dop e Igp.
A Stresa nel 1951 venne anche definita una prima lista di formaggi da proteggere della quale facevano parte gli italiani Parmigiano reggiano, Gorgonzola, Asiago, Provolone, Pecorino romano ma anche i francesi Brie e Camembert, gli svizzeri Emmental e Gruyere, e poi prodotti caseari di Danimarca, Austria, Norvegia e Svezia.
«Nel settore dei formaggi a marchio Ue – ha commentato il presidente di Assolatte, Paolo Zanetti – l’Italia vanta insieme alla Francia il primato dei riconoscimenti Dop e Igp con 56 prodotti, ma registra una produzione che in termini di volumi e di fatturato è più del doppio di quella francese. L’Italia, infatti, produce 580mila tonnellate di formaggi Dop contro le 200mila della Francia. Distanziata, al terzo posto, la Spagna con 30mila tonnellate».
Anche il settore de Dop e Igp lattiero casearie negli anni si è reso protagonista di grandi trasformazioni. Nei primi anni di operatività del registro delle denominazioni d’origine la produzione di formaggi Dop era concentrata prevalentemente nelle regioni Settentrionali del Paese. Oggi invece quasi non c’è regione d’Italia che non abbia un prodotto lattiero caseario a denominazione d’origine. Dalla Mozzarella di Bufala Campana (prima Dop del Mezzogiorno) al Caciocavallo Silano, dalla Burrata di Andria al Pecorino siciliano e al Ragusano, dal Pecorino romano (che in larghissima parte è prodotto in Sardegna), al Fiore sardo.
Tra questi uno dei veri e propri driver è diventata la Mozzarella di Bufala campana, entrata tra la Top 5 dei formaggi italiani a marchio Ue e la cui produzione nel giro di pochi anni è quadruplicata e di pari passo sono cresciute vendite ed esportazioni.
Mentre nel settore dei formaggi nel complesso la produzione degli ultimi cinque anni (2016-21) è aumentata del 10%, la produzione di Mozzarella di Bufala campana è cresciuta del 22%. Progressi che sono stati messi a segno anche nel difficile periodo della pandemia e dei lockdown favoriti dalla forte presenza di questi prodotti nel canale della grande distribuzione organizzata. Un trend di crescita, tuttavia, che mentre per il complesso dei formaggi a denominazione d’origine ha mostrato lo scorso anno qualche segnale di rallentamento, non registra frenate per la Bufala campana.
Dietro il peso dell’escalation dei costi produttivi e nel timore di una contrazione dei consumi a causa dell’inflazione galoppante, ma anche per lo spostamento di importanti volumi di latte verso la produzione di formaggi freschi (la cui domanda intanto è aumentata in un’estate particolarmente calda come la 2022) tutte le principali Dop casearie hanno tirato il freno. La produzione certificata 2022 è calata dello 0,4% per il Grana padano, del 2,2% per il Parmigiano reggiano, del 4% per il Gorgonzola, del 4,9% per il Pecorino Romano mentre è aumentata del 3,8% per la Mozzarella di Bufala campana.
L’OSSERVATORIO IL VALORE DELLA FILIERA
La Bufala Dop cresce sopra la media: +22% dal 2016
Lo scorso anno anche le esportazioni di Mozzarella Dop sono aumentate del 9 per cento (e ormai viaggiano a una quota sul fatturato complessivo del 35 per cento) con un vero e proprio exploit in Francia, Paese che nonostante vanti una grande tradizione casearia ha trovato nella Mozzarella di Bufala Campana il prodotto che mancava. La Francia è infatti (e di gran lunga) il primo mercato estero e assorbe una quota del 33% dell’export della Dop campana. Una leadership legata anche al fatto di essere un Paese confinante, fattore decisivo per garantire un’elevata qualità del prodotto per una specialità altamente deperibile.
Molto bene anche le vendite nel complesso (il fatturato alla produzione ha raggiunto quota 530 milioni di euro) con 9 consumatori su 10 in Italia che hanno acquistato mozzarella di bufala almeno una volta nell’ultimo anno (si veda altro articolo in pagina). Sono i principali dati emersi ieri a Milano dalla presentazione dell’Osservatorio economico sulla filiera della Mozzarella di Bufala Campana Dop, promosso dal Consorzio di tutela e realizzato in collaborazione con Nomisma e Unicredit.
«Nel 2022 sono stati prodotti 55 milioni e 814 mila chili di mozzarella Dop con una crescita del 3,8% sull’anno precedente – ha detto Domenico Raimondo, presidente del Consorzio di Tutela –. Aumenta anche la quantità di latte idoneo alla Dop, passato da 295.434 tonnellate del 2021 alle 305.829 del 2022. Inoltre, negli ultimi dieci anni, dal 2012 al 2022, si è ampliato pure il patrimonio di bufale da latte allevate nell’area Dop, passando da 321.433 a 374.297 capi. L’incremento dei capi allevati e di conseguenza delle quantità di latte prodotto sono alla base della crescita produttiva messa a punto dalla Mozzarella di Bufala negli ultimi anni».
«Con 1.201 allevamenti e 91 caseifici – ha sottolineato il direttore dello Svimez, Luca Bianchi – la Mozzarella di Bufala Campana è l’equivalente di una grande industria del Sud con importanti ricadute occupazionali e sull’economia dei territori».
«Una grande produzione di qualità che al pari delle altre eccellenze del made in Italy dobbiamo difendere – ha aggiunto il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida –. E proprio in questa ottica abbiamo raddoppiato il numero di Carabinieri in forza al Reparto di tutela dell’Agroalimentare mentre siamo arrivati a quasi mille ispettori impegnati nel Controllo della qualità e Repressione delle frodi. Ma oltre ai controlli la qualità si tutela con la promozione, ovvero portando all’estero i veri prodotti made in Italy in modo che anche i consumatori stranieri ne possano cogliere le differenze rispetto ai prodotti falsi. Stiamo lavorando insieme al ministero degli Affari esteri e all’Ice per rafforzare la promozione e con le autorità dei principali paesi di sbocco delle nostre produzioni perché si attivino anche loro in difesa dei marchi tutelati dalle norme Ue».
Il Sole 24 Ore