Nel 2018 abbiamo festeggiato i primi 40 anni del Ssn, con tante speranze e buoni auspici per il futuro. Nel mezzo: la pandemia, i morti, le bare sui camion militari, la crisi, la guerra. Un incubo. Dobbiamo, come l’araba fenice, avere la capacità di risorgere dalle nostre ceneri e risognare il grande sogno da cui siamo partiti: rendere concreti i principi enunciati dalla nostra carta costituzionale.
Articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Quando nasce il Servizio Sanitario Nazionale sono anni difficili per la nostra repubblica: gli attentati, i conflitti sociali. Eppure in questo clima è nata la legge Basaglia e, per la prima volta, viene messo nero su bianco che al centro della cura tocca mettere non già la malattia, ma la persona e che non vi può essere salute senza salute mentale.
Nell’anno della nascita del nostro Ssn si stabilisce che il costo della salute di ogni cittadino di questa repubblica deve essere posto in carico alla fiscalità generale e che la salute è un bene prezioso a cui tutti hanno diritto a prescindere dall’etnia, dalla religione e dalla classe sociale. E oggi noi sappiamo dopo 40 anni e con dati alla mano che l’organizzazione di un sistema sanitario risulta più efficiente se finanziato con fiscalità generale o assicurazioni sociali.
I nostri genitori hanno contribuito a costruire il sogno di un Ssn equo, universale, accessibile; altri, come me, ne hanno beneficiato; ma credo fermamente sia dovere di tutti noi difenderlo. Per noi, per i figli a cui stiamo lasciando un’eredità in tema di diritti ben più misera di quella che ci hanno lasciato i nostri padri. Perché, diciamocela tutta, negli ultimi 20 anni si è prestata grande attenzione ai diritti civili, ma sono stati abrogati, di fatto, i diritti sociali quali il lavoro, la casa, la salute e la scuola. Questo perché siamo stati disattenti, dandoli per scontati.
Qual è oggi il risultato di anni di non vigilanza? Qual è il risultato di anni di un lungo letargo che ha immobilizzato le nostre coscienze? Quello di non cogliere la portata di modifiche sostanziali alla nostra carta costituzionale. Carta che dovremmo portare tatuata sulla pelle e scolpita nel cuore, perché è costata 5 anni di guerra e milioni di morti.
Cosa dire sulle modifiche costituzionali: è stato modificato il Titolo V ed è stato introdotto il pareggio di bilancio. La modifica del titolo V della Costituzione ha portato alla nascita di 20 sistemi sanitari regionali diversi, alcuni efficienti ed altri disastrati, ma egualmente tutti al collasso nel fronteggiare la pandemia. Se qualcosa di utile ed efficace è stato fatto è solo grazie all’intervento e al coordinamento del governo centrale. È necessario “rimodificare” l’art. V, superare e archiviare le velleità di autonomia differenziata di alcune regioni, modificare i criteri con i quali le risorse vengono redistribuite. Conseguenza diretta del federalismo è il turismo sanitario, soprattutto delle regioni del Sud verso il nord.
Dobbiamo adottare lo slogan ‘io mi curo a casa mia’. E con questo voglio dire che tutte le prestazioni che rientrano nei Livelli essenziali di assistenza devono essere uniformemente esigibili su tutto il territorio nazionale. Il luogo di nascita non può e non deve fare la differenza tra salute e malattia, tra vita e morte, perché il regionalismo differenziato favorisce lo smantellamento del modello pubblico, così come l’abbiamo conosciuto sinora.
Speravamo che dopo la pandemia l’Autonomia Differenziata, soprattutto in sanità, fosse stata definitivamente accantonata, perché il finanziamento dei “servizi trasferiti”, calcolato sulla “spesa storica”, sottrae ulteriori risorse ai territori più poveri del nostro paese e ancora i tributi al territorio, rompe ogni idea di perequazione e di solidarietà. E in un paese moderno nessuno deve essere lasciato indietro.
E che dire del pareggio di bilancio in Costituzione? Con l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione siamo andati a comprimere diritti dell’individuo di per sé incomprimibili: diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro. La necessità di dover sottostare a vincoli di spesa per non sforare i tetti previsti si è tradotta, in sanità, in tagli di organici e mancata programmazione, ben sapendo che con un rapporto Pil/finanziamento del Ssn al di sotto del 6% difficilmente l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza sarebbe stata sostenibile.
In 10 anni sono stati chiusi 111 ospedali, tagliati 37mila posti letto.
Abbiamo perso in 10 anni 50mila operatori sanitari. Le condizioni di lavoro di tutto il personale sono di conseguenza nettamente peggiorate e l’accesso alle cure per i cittadini è diventato sempre più difficile. Oggi una Regione, anche se in pareggio di bilancio, non può assumere personale ma può aggirare la norma con una specie di “falso in bilancio”, acquisendo lo stesso con cooperative o esternalizzazioni, iscrivendo la spesa sotto la voce acquisto di Beni e servizi.
I servizi così erogati sono qualitativamente meno performanti e hanno come diretta conseguenza la stipula di contratti precari per il personale, l’aumento dei costi per le pubbliche amministrazioni e un accesso alle cure più arduo e sperequato. È questa la sanità che vogliamo?
Pina Onotri, segretario nazionale SMI