L’agricoltura e il sistema agroalimentare rappresentano per le mafie uno dei business più remunerativi. Il volume d’affari lo scorso anno è salito a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30 per cento rispetto al 2015.
Lo conferma il quinto Rapporto #Agromafie2017 elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare nel quale si sottolinea, tra l’altro, che si tratta di una stima in difetto perché restano inevitabilmente fuori i proventi derivanti da operazioni condotte “estero su estero” dalle organizzazioni criminali, gli investimenti effettuati in diverse parti del mondo, le attività speculative attraverso la creazione di fondi di investimento sulle piazze finanziarie di mezzo mondo, il trasferimento formalmente legale di fondi attraverso i money transfer in collaborazione con fiduciarie anonime e la cosiddetta banca di “tramitazione” che veicola il denaro verso la sua destinazione finale.
Le mafie. Dal mercato della carne affidato al clan Piromalli all’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro, dalle mozzarelle di bufala dei Casalesi al commercio ortofrutticolo della famiglia Riina, hanno capito che la globalizzazione, anche nel campo dell’agricoltura, può rappresentare una risorsa per rimpinguare le casse della criminalità. La filiera del cibo, dalla produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita, ha infatti tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse delle organizzazioni mafiose. Secondo Coldiretti, dopo aver ceduto in appalto ai manovali l’onere di organizzare e gestire il caporalato e altre forme di sfruttamento, i clan condizionano il mercato stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy.
“Tra tutti i settori agromafiosi – si legge nel rapporto – quello della ristorazione è forse il comparto più tradizionale e immediatamente percepito come tipico del fenomeno. In alcuni casi sono le stesse mafie a possedere addirittura franchising e dunque catene di ristoranti in varie città d’Italia e anche all’estero, forti dei capitali assicurati dai loro traffici illeciti”. Il business dei profitti criminali reinvestiti nella ristorazione coinvolgerebbe oltre 5.000 locali, con una più capillare presenza a Roma, Milano e nelle grandi città.
Nel 2016, dunque, si è registrata un’impennata di fenomeni criminali che colpiscono e indeboliscono il settore agricolo: sono ormai all’ordine del giorno i furti di trattori, falciatrici e altri mezzi agricoli, gasolio, rame, prodotti (dai limoni alle nocciole, dall’olio al vino) e animali con un ritorno prepotente dell’abigeato. Tutta opera di veri e propri criminali che organizzano raid capaci di mettere in ginocchio un’azienda, specie se di dimensioni medie o piccole, con furti di interi carichi di olio o frutta, depositi di vino o altri prodotti come file di alveari, intere mandrie o trattori caricati su rimorchi di grandi dimensioni. A questi reati contro l’agricoltura si affiancano racket, usura, danneggiamento, pascolo abusivo ed estorsione nelle campagne.
I controlli del ministero – “Sulle agromafie non si può abbassare la guardia – ha detto il ministro delle politiche agricole, Maurizio Martina, intervenuto alla presentazione del rapporto Colidretti – . Il mio ministero nelle attività di controllo ha fatto un salto di qualità enorme negli ultimi anni se penso ai 370mila controlli in tre anni che abbiamo realizzato autonomamente come ministero. E’ segno di un’attività molto capillare – ha aggiunto Martina -, bisogna andare avanti sapendo che alcune aree come quelle interne sono particolarmente riguardate dal fenomeno agromafie”.
Repubblica – 14 marzo 2017