Rappresentano la fetta maggiore di laureati in Italia, si confermano nel percorso universitario più brave degli uomini – con migliori performance e voti di laurea più alti – ma il mercato del lavoro continua a penalizzare le donne. Le differenze di genere, infatti, si confermano significative con un divario tra uomini e donne sia in termini occupazionali che retributivi. Differenze che si fanno ancora più marcate in presenza di figli. È quanto emerge dal Focus Gender Gap 2023 realizzato da AlmaLaurea. Non solo, come viene fuori dall’indagine Inapp-Plus, proprio dopo la nascita di un figlio quasi 1 donna su 5 non lavora più: il 52% perché non riesce a conciliare lavoro e famiglia e quasi il 30%, invece, per il mancato rinnovo del contratto o per licenziamento.
Il Focus Gender Gap 2023 – “I dati dell’ultima indagine di AlmaLaurea confermano la presenza di performance migliori delle laureate rispetto ai laureati durante gli studi. Restano tuttavia forti e significative le disuguaglianze in ambito occupazionale: le donne lavorano meno e guadagnano meno, con un preoccupante aumento dei differenziali, in termini sia di occupazione sia di retribuzione, in presenza di figli”, commenta Marina Timoteo, direttrice di AlmaLaurea, il consorzio Interuniversitario fondato nel 1994 che oggi rappresenta 80 Atenei e circa il 90% di coloro che ogni anno si laureano in Italia. Statistiche che si basano su un’indagine condotta su 300 mila laureati del 2021 e 660 mila laureati del 2020, 2018 e 2016, intervistati a uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo.
Il profilo delle laureate e dei laureati – Le differenze tra studenti e studentesse emergono chiare fin dall’approccio allo studio nel corso della scuola secondaria, sia di primo che di secondo grado. Per quanto riguarda il profilo dei laureati si evince che tra chi ha conseguito il titolo nel 2021 è nettamente più elevata la presenza della componente femminile, il 59,4%: la quota delle donne che si laureano in corso è pari al 63,0% (contro il 57,9% per gli uomini) con un voto medio di laurea uguale a 104,2 su 110 (per gli uomini è 102,4). La composizione per genere cambia tra i laureati STEM, cioè in discipline scientifico-tecnologiche: in questo caso le donne sono presenti in numero minore (40,9% rispetto al 59,1% degli uomini), ma si confermano più brave, con voto medio di laurea più alto e con il 57,6% che ha concluso gli studi nei tempi previsti rispetto al 53,0% degli uomini.
Donne con figli – Il forte divario in termini occupazionali e retributivi tra uomini e donne aumenta ancora di più in presenza di figli: anche in questo caso le più penalizzate sono le donne, non solo in termini di divario occupazionale ma ancora una volta sull’aspetto retributivo. Il differenziale occupazionale – si legge nel rapporto AlmaLaurea – si conferma a favore degli uomini, a cinque anni dalla laurea, ed è pari a 22,8 punti percentuali tra quanti hanno figli (è di 2,3 punti percentuali tra chi non ne ha) mentre quello retributivo raggiunge addirittura il 23,6%.
La nascita del figlio e l’uscita dal mercato del lavoro – Su questo fronte, come emerge dal “Rapporto Plus 2022. Comprendere la complessità del lavoro”, il quadro si fa ancora più complicato: i risultati dell’indagine Inapp-Plus, infatti, raccontano come dopo la nascita di un figlio quasi una donna su cinque (il 18%) tra i 18 e i 49 anni non lavora più e solo il 43,6% permane nell’occupazione (solo il 29% nel Sud e Isole). La motivazione principale riguarda la conciliazione tra lavoro e cura (52%), seguita dal mancato rinnovo del contratto o licenziamento (29%) e da valutazioni di opportunità e convenienza economica (19%). La quota di quante non lavoravano né prima, né dopo la maternità è del 31,8% e del 6,6% quella di quante hanno trovato lavoro dopo la nascita del figlio. “Il percorso delle donne verso una piena e stabile occupazione è spesso una vera e propria corsa a ostacoli”, osserva Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp: “Non bastano interventi spot, serve – aggiunge – una appropriata calibrazione di tutte le politiche per evitare che gli effetti di genere, talvolta palesi, talvolta nascosti, penalizzino la partecipazione delle donne”.
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