“Fare buona sanità nella crisi: progetti per la sanità pubblica veterinaria” è il tema attorno al quale si sono confrontati i partecipanti al 47° Congresso Nazionale del SIVeMP, Sindacato Italiano dei Veterinari di Medicina Pubblica, che si è concluso sabato 18 ottobre a Firenze. A meno che non si voglia accettare una riduzione delle coperture sanitarie e un maggiore esposizione ai rischi – ha sottolineato Aldo Grasselli, Segretario Nazionale del SIVEMP – non è possibile accettare che il Servizio Sanitario Nazionale sia sotto finanziato così come, allo stesso tempo, non è possibile acconsentire a che le inefficienze strutturali e organizzative vengano mantenute delegittimando l’intero sistema. Il Ssn non è la sommatoria di variegati e difformi Sistemi sanitari regionali, ma deve essere un insieme omogeneo di Servizi sanitari che le Regioni strutturano sul loro territorio nel rispetto dei principi costituzionali e dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea).
Ma se i LEA non sono “uniformi” ma solo “essenziali” in ogni territorio ciò significa che la Regione può distribuire l’erogazione degli stessi a seconda di come vuole concentrare l’offerta. A questa disomogeneità di offerta ogni cittadino può ovviare con la portabilità del diritto alla diagnosi, alla cura e alla riabilitazione che gli è assicurata in qualsiasi struttura del Ssn.
Per assicurare la prevenzione collettiva, invece, il Ssn deve operare come un insieme omogeneo di Servizi sanitari territoriali tra loro uniformi, organizzati e distribuiti nel rispetto, quanto meno, di un modello basilare ( quello disegnato dal dlgs 502/92); a maggior ragione quando – a seguito degli accorpamenti delle ASL – l’estensione dei territori di competenza dei Dipartimenti di prevenzione si estende ad aree sempre più vaste. La prevenzione primaria, la sanità pubblica, la medicina del lavoro, l’igiene zootecnica, la sanità animale, la sicurezza alimentare, sono interessi della collettività che, pur essendolo, non sono percepiti come diritti individuali.
La loro importanza però – ha sottolineato Grasselli – rientra in quello che si definisce “interesse nazionale” e per questo richiedono entità organizzative equivalenti ed uniformi sul territorio nazionale. Il diritto alla prevenzione primaria, alla tutela della salute, dell’igiene ambientale, della sicurezza alimentare, deve essere uniformemente garantito in tutto il territorio nazionale. Troppi sono gli esempi che denunciano che così non è. Se alcune Regioni penalizzano la prevenzione molto spesso il danno è nazionale o può avere risvolti economici nazionali ed internazionali. E fenomeni gravi e non risolti come “la terra dei fuochi” testimoniano una cronica sottovalutazione della questione.
Quando la prevenzione è carente nei confronti dei singoli cittadini o consumatori – ha proseguito il Segretario Nazionale del SIVeMP – questi non vi possono ovviare con la “portabilità dei diritti di tutela” presso altri servizi di altre regioni, né vi possono ovviare con forme private di sanità, di quella sanità che per definizione è ed altro non può essere che “pubblica”. La responsabilità di una buona sanità pubblica, di una buona tutela dei consumatori, di una buona prevenzione è in parte attribuibile alla professionalità degli addetti, la gran parte delle debolezze sono di sistema, di attenzione degli amministratori, di strategia e di sostegno politico. Quanto ci può costare il progressivo smantellamento dei sistemi di sanità pubblica e un eventuale fallimento della prevenzione? I danni potrebbero essere di dimensioni gigantesche e di portata continentale.
Il Sivemp ricorda che la Human Illness Attribution stabilisce la graduatoria degli alimenti a rischio sulla base di valutazioni epidemiologiche e statistiche. I primi alimenti nella classifica di rischiosità sono le carni fresche e i derivati, i secondi sono i prodotti della pesca e della itticoltura. Seguono il latte e i prodotti lattiero caseari, uova e ovoprodotti, ultimi i prodotti di gastronomia e i vegetali. Negli USA la principale causa di malattia alimentare sono i norovirus con quasi il 70% di casi sui casi segnalati. Nella UE i maggiori responsabili di malattia alimentare restano i batteri. L’85% delle malattie è causato da soli 27 agenti, tutti microbici. Tra i primi 27 almeno 13 sono stati scoperti dopo il 1975 (1 ogni 3 anni). Nei prossimi 15 anni avremo almeno altri 10 nuovi patogeni. Tra un terzo e la metà di tutte le malattie infettive dell’uomo hanno un’origine zoonotica, ossia trasmessa da animali. Circa il 75% delle nuove malattie che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni è stato trasmesso da animali o da prodotti di origine animale. Se qualcuno intende sminuire la funzione dei medici veterinari di sanità pubblica deve essere capace di confutare questi dati. La FAO afferma che “la salute degli animali è l’anello debole della nostra catena di salute globale”. La stessa FAO sostiene l’approccio “one health”-”un’unica salute”, guardando all’interazione tra fattori ambientali, salute degli animali e salute umana e chiedendo ai professionisti della salute umana, veterinari, sociologi, economisti, ecologisti di lavorare insieme nell’ambito di un quadro olistico.
La funzione veterinaria pubblica – ha ricordato ancora il segreterio SIVeMP – è interpretata diversamente dagli stati membri della UE. I livelli decisionali della Commissione e del Consiglio dell’UE stanno rideterminando i controlli delle autorità competenti sulle produzioni di alimenti di origine animale. Un lavoro intenso delle direzioni del nostro Ministero, l’altrettanto intenso impegno della nostra delegazione in Federation of Veterinarians of Europe (FVE), hanno difeso il principio della competenza esclusiva e della presenza attiva del veterinario pubblico nelle varie fasi della filiera. Ma questa posizione, ancorché sia da noi ben circostanziata, in Europa è minoritaria.
A questo proposito – ha chiarito Grasselli – dovremo intenderci con le Regioni, che rivendicano un’autonomia organizzativa sui dipartimenti di Prevenzione e rigettano qualsiasi normazione uniforme proveniente da leggi nazionali, ma subiscono passivamente i regolamenti europei che operano una ben più invasiva definizione funzionale, dopo aver subito le politiche economiche dell’UE che li ha lasciati a dissipare, nel limbo federalista, il poco rimasto. Dovremo intenderci con i nostri stakeholder del settore agro-zootecnico-alimentare che vogliono valide garanzie per le loro importazioni di materie prime di origine animale, derrate che sono certificate da servizi di paesi membri molto meno “veterinari” del nostro e molto più propensi a favorire l’esportazione, mentre ai nostri operatori del settore alimentare interessa trasformare materie prime sicure per non avere incidenti nei loro prodotti finali. Dovremo infine intenderci con i consumatori per stabilire se il popolo italiano è ancora sovrano sulla sua salute o se, coniugando filosofie nord europee e esigenze di risparmio sulla sanità nazionale, possa inconsciamente lasciar smantellare il servizio veterinario nazionale. Forse è necessario preannunciare che in tal caso i nostri consumatori potranno essere esposti a rischi maggiori e i nostri imprenditori, che sono trasformatori di materie prime straniere importate, saranno molto più soli nella difesa del “food made in Italy”.
In questi mesi sta continuando il negoziato per definire un nuovo “Trattato di libero scambio tra USA e UE”. Di cosa si tratti e dei contenuti degli accordi di avvicinamento nemmeno è dato sapere. Gli stessi parlamentari europei sono all’oscuro dei contenuti delle previsioni di intesa. E’ una pagina estremamente delicata, importante per proteggere i mercati USA e UE dalla competizione di Cina, India, Brasile e altri paesi emergenti, ma è anche un banco di prova per la deregulation a favore di forme di controllo e vincoli meno stringenti. In altre parole: i sistemi di controllo e gli obiettivi dei controlli potrebbero essere ridimensionati a favore di una politica di espansione degli scambi. E’ qui – conclude Grasselli – che si gioca una gran parte del nostro futuro di paese “nicchia di eccellenza”. Sarebbe opportuno che si alzasse lo sguardo su questi scenari, magari analizzandoli insieme alle associazioni dei contadini, degli allevatori, dell’industria alimentare e dei consumatori.
20 ottobre 2014