Su economia e politica, quattro cittadini su 10 vedono l’anno che verrà più nero del 2011. Demos rileva insoddisfazione record (80%) per i rappresentanti istituzionali.
Il 66% del campione confida che Monti ci porterà fuori dalla crisi, ma gli scettici crescono
di ILVO DIAMANTI
Mario Monti: oltre 6 italiani su 10 sono convinti che il suo governo porterà il paese fuori dalla crisi. Nei “tecnici” è riposta l’ultima fiducia dei cittadini (lapresse)
Sull’orlo del 2012, gli italiani vorrebbero ritrarsi. Fermarsi sulla soglia. Ma l’anno lasciato alle spalle, carico di problemi insoluti, li spinge oltre. Il sondaggio di Demos li rappresenta così. Insoddisfatti e depressi per quel che è successo nel 2011. Inquieti e, anzi, impauriti da quel che li (ci) attende nell’anno che sta per iniziare. Le cifre, per quanto aride, a volte, parlano più delle parole. Nove persone su dieci (tra quelle intervistate) ritengono che nel 2011 l’economia italiana sia peggiorata. E quattro su dieci pensano che nel 2012 peggiorerà ancora. Quasi metà degli italiani valuta negativamente la situazione del proprio reddito nel 2011. Un terzo teme che, nel corso dell’anno prossimo, sia destinata a degradarsi ancora.
Appare generalizzata (quasi l’80%) anche l’insoddisfazione verso la politica italiana, infetta dalla mala pianta della corruzione. Che, secondo il 37% del campione, è destinata ad aggravarsi ulteriormente. Solo l’atteggiamento verso la sicurezza “personale” sembra più disteso. Soprattutto in prospettiva futura. Ma si tratta di una visione distorta, in quanto l’insicurezza economica oggi sovrasta la “paura” degli altri: immigrati e criminali, che, nella rappresentazione sociale, spesso, coincidono. Non si tratta di un sentimento nuovo. È da qualche anno, infatti, che il lavoro, il mercato, l’economia oscurano l’orizzonte emotivo degli italiani, mettendo in secondo piano gli altri problemi. Tuttavia, quest’anno il pessimismo ha superato, per intensità, ogni livello raggiunto in precedenza. Basti considerare la differenza tra le attese positive e negative nei confronti del 2012. Il segno meno prevale in tutti i campi, ad esclusione – di nuovo – della sicurezza personale e, inoltre della lotta all’evasione fiscale (un segno di fiducia nel nuovo quadro politico). Anche la qualità della televisione, secondo gli italiani intervistati da Demos, migliorerà, seppur di poco. D’altra parte, peggio di quel che si è visto negli ultimi anni…
Il pessimismo risulta, invece, particolarmente elevato riguardo all’economia nazionale e al reddito personale. E, inoltre, alla politica. Nel complesso, solo un quarto degli italiani “immagina” un 2012 migliore dell’anno – orribile – ormai finito. E’ un segno che ormai resta poco spazio anche per l'”immaginazione”.
La distribuzione di questi orientamenti nella popolazione non presenta particolari differenze. Il pessimismo contamina un po’ tutti gli strati sociali, senza distinzioni di età, ceto, professione, territorio. In qualche misura, si tratta di un riflesso della svolta politica del 2011. Segnato dalle dimissioni di Silvio Berlusconi. L’Uomo dell’Ottimismo-a-ogni-costo. Colui che aveva negato, fino all’estate scorsa, la crisi. Al tempo di Berlusconi, il Pessimismo era considerato un’ideologia eversiva, sinonimo – e anche peggio – del Comunismo. Perché le attese non contribuiscono solo ad accelerare il corso degli eventi, a tradurre le aspettative in fatti. Ma, nella visione del Cavaliere, le immagini coincidono con la realtà. Si sovrappongono ad essa. Tanto più se fra i due piani c’è coerenza. Se, cioè, le paure sono giustificate e provocate dalla realtà. Dalla crisi.
L’irruzione del Pessimismo ha, quindi, delegittimato Silvio Berlusconi e il suo governo, sottraendo loro spazio e credibilità. Assai più dell’azione esercitata dalle forze politiche di opposizione. Ma anche più della pressione dei mercati. Gli indici di borsa (per primo il famigerato Spread) e le stime delle agenzie di rating, semmai, hanno fornito alle nostre paure una simbologia – oscura la sua parte, come ogni rituale. Hanno, quindi, contribuito ad alimentare un’inquietudine tanto più acuta perché scandita da “misure” in-comprensibili. Ma si sa: quel che è misurabile esiste. “È”. Per cui venire declassati, perdere la tripla o la doppia A, anche se non si capisce cosa significhi, sconcerta e disorienta. E, quindi, opprime di più.
Anche per questo, nonostante tutto, in mezzo a tanto pessimismo, Mario Monti mantiene uno spazio di “fiducia”, altrimenti poco comprensibile. È difficile, infatti, far coesistere nella stessa popolazione due opinioni tanto distanti fra loro. Da un lato, la convinzione che l’economia nazionale e il reddito delle famiglie peggioreranno. Dall’altro, la fiducia il governo Monti ci condurrà oltre la crisi. È ciò che pensano i due terzi degli italiani. Certi che il governo tecnico ci guiderà al di là delle nebbie, fino a un porto sicuro. Proprio perché è un “tecnico”. Sa parlare ai mercati, in tempi di dominio dei mercati. Sa parlare ai tedeschi, in un’Europa governata dai tedeschi. Gli italiani si fidano di Monti perché non finge di essere “uno di noi”. “Come noi”.
D’altronde, non lo è neppure Berlusconi, autonominatosi narratore di “una storia italiana” esemplare. Figurarsi: con tutti quei soldi, quegli interessi, quelle ville. Con tutte quelle donne e donnine. Semmai, poteva raffigurare gli istinti e i desideri più o meno confessati da molti italiani nell’era dell’opulenza. Prima che il Pessimismo si abbattesse sul Paese. Mario Monti e i suoi ministri “tecnici”, invece, non somigliano all’italiano “medio”. Non tentano di imitarlo. E gli italiani non chiedono loro di trasformare i sogni in realtà. Ma più semplicemente: di “parlare ai mercati”. Di costringerci a fare ciò che i politici – troppo simili a noi, troppo dipendenti dal nostro “consenso” – non sono in grado di imporci. Monti e il governo tecnico: sono popolari proprio perché im-popolari. Rappresentano un’èlite diversa e distante dal “popolo”.
D’altronde, nel 2012 ci attende un percorso difficile, attraverso la crisi economica e politica, senza mappe e senza bussole in grado di orientarci. Senza stazioni e senza destinazioni certe. D’altronde, è finita l’epoca della fiducia nel futuro. Nello sviluppo senza limiti trascinato dal mercato. Ed è finita l’epoca del Grande Imprenditore, ma anche del Politico. Neppure i Magistrati, i Garanti della Virtù – Pubblica e Privata – emozionano più. Per sfidare il pessimismo che avvolge il 2012 ci si affida, invece, ai Tecnici. Con poco entusiasmo. Con un sentimento di fiducia “obbligata”. Per necessità più che per scelta. Lo spirito con cui si va dal medico quando si sta male.
Ai Tecnici che parlano il linguaggio dei fatti, tuttavia, gli italiani chiederanno i fatti. Fra un po’. Perché, in tempi di emergenza, l’Ottimismo-a-prescindere può attendere. E, anzi, va messo da parte, insieme ai suoi ideologi. Ma se perdurasse il Pessimismo “realista” (e del suo reciproco: il “Realismo” pessimista), allora neppure i Tecnici potrebbero sopravvivere a lungo.
Repubblica – 31 dicembre 2011