Da Ruminantia. di Alberto Mantovani, Istituto Superiore di Sanità, Roma. E’ il momento giusto per guardarsi indietro e riflettere. Nel 1979 mi laureavo medico veterinario alla Alma Mater di Bologna con una tesi sull’uso di anabolizzanti ormonali nel vitello a carne bianca. Sono passati 40 anni, che mi hanno portato, attraverso il lavoro all’Istituto Superiore di Sanità e varie esperienze all’estero, anche ad una “militanza” nell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare(EFSA) che dura dal 2003. Quaranta anni in cui il nostro mondo professionale si è trasformato: l’esempio etico dei nostri Maestri rimane valido, mentre l’insegnamento professionale appare inevitabilmente superato dall’evoluzione storica. Anche se… rileggere un’opera di Albino Messieri con sguardo e mente di oggi può essere ancora proficuo.
Sui cambiamenti avvenuti si potrebbe scrivere un libro, basti pensare a come è mutato il lavoro del veterinario degli animali d’affezione con il mutare del contesto sociale, delle richieste dei cittadini e delle specie animali di cui occuparsi. Io mi limiterò a fare qualche riflessione sul filo conduttore che ha seguito la mia vita professionale, dalla laurea in poi: la sicurezza alimentare vista come branca della sanità pubblica (tout court) fortemente connessa con la prevenzione ambientale.
Ogni generazione di medici veterinari è oggetto e soggetto di cambiamento, e interagisce con la fase storica adattandosi e contribuendovi.
A grandissime linee, mi viene da dire che la fase storica che va dagli anni ’50 sino agli anni ’70 del XX secolo è stata segnata dallo sviluppo e consolidamento della rete degli Istituti Zooprofilattici come strutture scientifiche e strumentali portanti del sistema italiano e, in parallelo, dello sviluppo e consolidamento delle competenze veterinarie nell’ambito del Ministero della Sanità (così si chiamava). Gli anni ’80 e ’90 hanno visto lo sviluppo del Sistema Sanitario Nazionale con le competenze veterinarie assunte come parte integrante della branca della prevenzione (e infatti abbiamo veterinari direttori dei Dipartimenti di Prevenzione). L’approccio concettuale che ha caratterizzato lo sviluppo di queste fasi storiche si è incentrato sull’epidemiologia e, nel campo della sicurezza alimentare, sullo sviluppo di un imponente ed efficiente sistema di controlli: quindi sullo sforzo di costruire un’accurata e capillare “fotografia dell’esistente” per programmare interventi correttivi.
Come succede, il traguardo cambia e si sposta mentre ancora lo si deve conseguire completamente. Il periodo di cui è stata protagonista la nostra generazione, approssimativamente dagli anni ’90 al 2010, può essere definito come la fase dell’integrazione e del contributo del sistema italiano nel e al sistema Europa. In Italia, al contrario della gran maggioranza degli altri paesi, la medicina veterinaria e la sicurezza alimentare appartengono al campo istituzionale della sanità: lo stesso è successo in Europa ove, a partire dal Libro Bianco sulla sicurezza alimentare (2000, più citato che letto) della Commissione Europea, queste competenze sono affidate alla DG (i “ministeri” della Commissione Europea) responsabile della sanità (prima DG SANCO, ora DG SANTE), che è stata, anche in conseguenza di ciò, molto potenziata. Un successo della visione culturale italiana. E’ vero che sono un tipo distratto, però non ho sentito molte felicitazioni in Italia all’epoca, mah…
Europa, e quindi EFSA (e prima, per i farmaci veterinari la agenzia europea del farmaco – EMA), Pacchetto Igiene, reti dei Laboratori di Riferimento. La parola chiave di questa fase storica è “analisi del rischio”.
Il processo si basa sulla valutazione del rischio, vale a dire la previsione e modellizzazione scientificadei possibili danni risultanti da una determinata opzione per la filiera agroalimentare (“che possibili danni per gli animali, i consumatori, gli utilizzatori e l’ambiente dall’uso del coccidiostatico X nei modi e dosaggi proposti?”). Sulla base della valutazione effettuata dai valutatori in modo indipendente, oltre che qualificato e aggiornato, e comunicata in modo chiaro e trasparente, i responsabili delle decisioni agiscono -sempre in modo trasparente- per “gestire il rischio”, vale a dire pongono le condizioni (normative, controlli, etc.) per tutelare la sicurezza, ad es., autorizzando un additivo nei mangimi o un fitosanitario a determinate condizioni d’uso e non altre. Quindi i possibili rischi vanno previsti e controllati: un approccio completamente diverso da quello giuridico tradizionale, in cui si constata il danno e si agisce di conseguenza.
Un concetto esemplare di questa nuova (quando iniziò) visione sono i Limiti Massimi di Residui (LMR), nel cui sviluppo ha avuto un ruolo rilevante il gruppo di lavoro sui farmaci veterinari dell’EMA negli anni ’90. Con i LMR si passa, in modo coerente e standardizzato, da una valutazione analitica (il residuo “è sicuro” perché non viene trovato) ad una valutazione sanitaria (il residuo non desta preoccupazione sulla base delle conoscenze e metodologie attualmente disponibili). In linea di massima, i LMR si basano sulla definizione di una dose giornaliera accettabile attraverso la valutazione tossicologica (identificazione di una dose “senza effetto osservabile”) e l’adozione di fattori di sicurezza che tengono conto della estrapolazione dai test di laboratorio alla vasta ed eterogenea popolazione umana e delle eventuali lacune dei dati.
La definizione di LMR ha numerose implicazioni generali interessanti per la sicurezza alimentare. Essa deve garantire, possibilmente con un ulteriore abbondante margine compatibile con la buona pratica, che l’assunzione attraverso la dieta non superi la dose accettabile, tenendo conto i) di possibili “picchi” di esposizione (forti consumatori di alcuni alimenti); ii) delle differenze di consumo legate all’età(bambini rispetto agli adulti) iii) di altre vie di esposizione (ad es., la definizione di LMR negli alimenti di origine animale per l’uso in allevamento dell’insetticida X dovrà tenere conto anche dell’esposizione -verosimilmente maggioritaria- derivante dall’uso agricolo sui vegetali) nonché iv) delle condizioni d’uso(se l’uso del coccidiostatico X è richiesto per il pollo da carne, occorrerà una nuova valutazione per definire LMR, ad es., nelle uova). Si tratta, quindi di un processo fondamentalmente scientifico, che prevede l’aggiornamento -ove richiesto dallo stato dell’arte- e che può portare ad un esito negativo ove i dati non consentano di definire un uso sicuro (esempi noti nella nostra professione sono cloranfenicolo e furazolidone).
L’approccio generale può essere applicato, con le dovute modifiche, anche alla definizione di limiti tollerabili in alimenti e mangimi di contaminanti, come metalli o micotossine; in questi casi, sulla base della valutazione del rischio, i limiti tollerabili possono essere definiti solo o principalmente sugli alimenti che realmente determinano l’esposizione come ad es., il pesce per il metilmercurio e il latte per l’aflatossina M1.
Nell’impressionante sviluppo nel corso del primo decennio degli anni 2000, la valutazione del rischio in sicurezza alimentare ha cominciato a comprendere anche la valutazione rischio-beneficio, che confronta e bilancia le conseguenze negative e positive per la salute umana e/o animale di due (o più) opzioni. Ecco due casi affrontati da EFSA: i) che beneficio per la salute apporta un elevato consumo di pesce in gravidanza in confronto alla possibile assunzione di metilmercurio? ii) fino a che punto la riduzione della concentrazione di rame nei mangimi può mitigare l’impatto ecotossicologico dei reflui senza aumentare il rischio di carenza, e quindi un effetto avverso sulla salute animale?
Lo sviluppo scientifico della valutazione del rischio in sicurezza alimentare è stato un processo che non esito a definire esaltante, che ha modificato la maniera di produrre alimenti e anche di considerare l’alimentazione in Europa. Gli esperti italiani hanno dato un contributo importante. Però troppe volte ho percepito nel nostro dibattito pubblico che le valutazioni di EFSA e le decisioni europee erano e sono viste come editti di una lontana e nebbiosa “Bruxelles” e non come qualcosa cui l’Italia ha attivamente partecipato e deve continuare a partecipare. Del resto, ancora serve ricordare che l’EFSA è a Parma!
Il rapporto trasparente fra valutazione e gestione del rischio è stato un enorme passo avanti e ha spinto grandemente lo sviluppo delle conoscenze, ha garantito che in Europa e in Italia -nonostante le strida di alcuni “ambientalisti” (sic)- il cibo non sia mai stato così sicuro, ha fatto sì che l’Europa sia guardata con interesse da altre realtà, tra cui la Cina; d’altro canto per funzionare perfettamente avrebbe forse richiesto un mondo diverso dall’attuale. Emergono problemi e soprattutto emergono nuovi aspetti. Una nuova fase si apre e alla mia generazione tocca il compito di trasmettere ciò che ha costruito in modo che sia almeno più agevole affrontare le sfide emergenti, senza dimenticare che la valutazione del rischio pur rappresentando un aspetto oramai consolidato ma non è affatto “superata”, e guai a dissmetterla.
Vediamo due aspetti emergenti:
- La scienza della valutazione del rischio sta dando, giustamente, un grande spazio alla identificazione delle incertezze: una valutazione che mostra e “pesa” le proprie incertezze è più forte, in primo luogo perché più trasparente. Ma dai gestori del rischio la stessa valutazione viene letta come più debole e meno difendibile. Secondo la mentalità giuridica si è innocenti sino a prova contraria: la messa in evidenza delle incertezze rende difficoltosa la decisione sulle misure da prendere, a meno di invocare il controverso “principio di precauzione”. Per quanto la mia simpatia di ricercatore vada tutta alla caratterizzazione scientifica delle incertezze, è evidente che è inutile valutare il rischio se il gestore del rischio non accetta o non comprende la valutazione. Considerando che si tratta di concreti e frequenti problemi della sicurezza alimentare da Bruxelles alle ASL, il rapporto comunicativo e operativo fra valutatori e gestori del rischio è qualcosa su cui noi, e soprattutto chi viene dopo di noi, deve studiare e lavorare.
- Ho fatto l’esempio dell’incertezza perché è un problema su cui EFSA è molto attenta. In realtà è una questione che rientra nell’ambito più ampio della scienza postnormale che riguarda le situazioni ove “i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti”. Come discusso energicamente nella conferenza internazionale di EFSA del settembre 2018, le tangenze fra sicurezza alimentare e scienza postnormale sono fittissime: la sostanza X è realmente cancerogena? Perché le posizioni scientifiche su questa sostanza sono controverse? La valutazione è stata indipendente è trasparante? L’esigenza della precauzione confligge con quella di tutelare un prodotto utile per la produzione agricola? E sino a che punto è possibile mettere in discussione l’operato di un’Agenzia senza comprometterne l’indipendenza? Ma il pubblico aspetta una risposta chiarificatrice!
Come portare concretamente le domande della scienza postnormale nella valutazione del rischio è questione aperta e lo sarà per molto tempo. Nel prossimo futuro valutazioni che comportano importanti scelte valoriali, quali ad es. la possibilità di rischi per la generazione futura ma non per quella presente, potranno vedere ampie discussioni che coinvolgono i valutatori e i gestori del rischio, nonché il pubblico e le sue articolazioni: senza pensare alla caricatura grottesca dell’antivaccinismo, è verosimile che gli attori del processo abbiano posizioni diversificate sia fra loro sia al loro interno. Populismo scientifico con rischi per qualità ed efficienza? Diluizione delle responsabilità e quindi della trasparenza? Forse, ma proprio per questo occorre conoscere i processi che attengono alla scienza postnormale e saperli fronteggiare e governare, perché riguardano tutti i livelli, dalla UE ad una ASL,
- Cambiamenti climatici, economia circolare, consumo delle risorse: la produzione di alimenti, e in particolare di alimenti di origine animale, è sostenibile? Occorre innovare le filiere produttive per continuare a produrre cibo per una popolazione in crescita e con maggiori esigenze (l’Africa è un mercato globale di 900 milioni di consumatori) essendo consapevoli dei limiti dello sviluppo.
E non finisce qui. La sostenibilità delle produzioni agroalimentari, insieme a gravi questioni come l’antibiotico-resistenza, impongono che la “one Health” diventi uno strumento operativo e non solo una dichiarazione di intenti, e che vada molto oltre la collaborazione medico-veterinaria ma si allarghi ai tanti aspetti dell’ecosistema antropizzato.
La grande questione è quindi se l’attuale sicurezza alimentare (in termini sia di garanzia della disponibilità di alimenti – food security – e tutela della loro salubrità – food safety) non sia una battaglia di retroguardia che in realtà danneggia il pianeta. Io credo di no, ma è ineludibile affrontare il problema con strumenti scientifici nel prossimo decennio.
Posso quindi ipotizzare che il lascito della mia generazione siano l’integrazione attiva nel sistema Europeo e la scienza della valutazione del rischio. E che tra le parole d’ordine per la fase che nasce vi siano sia la “contaminazione” del processo scientifico con scelte valoriali che la sostenibilità globale della produzione di alimenti di origine animale.