Eravamo poco più di 21 milioni e la speranza di vita media non arrivava a 50 anni, senza contare la mortalità infantile. Al momento dell’Unità d’Italia, la principale causa di morte erano le malattie infettive e parassitarie.
Com’è cambiato in un secolo e mezzo di storia unitaria lo stato di salute degli italiani? Alla vigilia della festa per i 150 anni dell’Unità d’Italia proviamo a tracciare qualche linea di questo cambiamento, con l’aiuto dei dati raccolti dall’Istat.
La popolazione
Nel 1861, quando nasceva l’Italia, gli italiani erano 21, 777 milioni, con una lieve preponderanza degli uomini sulle donne, rispettivamente 10,897 mln e 10,880 mln. Trent’anni dopo, nel 1891, avevamo già superato quota 30 milioni, con una crescita costante fino al 1915, quando la popolazione italiana era di 36,651 milioni. La Grande Guerra e l’epidemia di spagnola la riduce, alla fine del 1918 a 35,804 mln. Ma da quel momento in poi la crescita sarà continua e non si interromperà neanche con la seconda guerra mondiale: 38 milioni nel 1921, 41,2 mln nel 1931, quasi 45 mln nel 1941, 47,5 mln nel 1951, 50,6 nel 1961, 54,1 nel 1971, 56,6 nel 1981, 56,7 nel 1991, 57 nel 2001, fino ai 60.574.609 dell’ottobre del 2010, ultimo dato disponibile. A partire dal 1900, però, a prevalere numericamente sono sempre state le donne rispetto ai maschi. Gli ultimi dati Istat disponibili (ottobre 2010) danno uno scarto tra i sessi di quasi due milioni, 29.384.366 donne e 27.576.326 uomini.
Le speranze di vita
Le statistiche più antiche indicano l’età mediana dei morti per ciascun anno. La sua quantificazione “pura”, cioè non depurata della mortalità infantile, è impressionante: nel 1863, primo dato disponibile, l’età mediana di morte era di 5,55 anni e cresce molto lentamente, arrivando a 14 anni solo nel 1892, per poi salire sempre più rapidamente.
A pesare enormemente era dunque la mortalità infantile: nel 1863 morirono nel primo anno di vita 223.813 tra bambine e bambini, quasi l’1% della popolazione italiana di allora. Questo “tributo” cala negli anni molto lentamente, con improvvise impennate legate a epidemie o altro. Con il ‘900 si scende sotto i 200mila neonati morti ogni anno, ma solo negli anni ’40, quando la popolazione complessiva è ormai più che raddoppiata, il dato arriva intorno agli 80mila decessi annui.
Proprio per questo, tornando alla popolazione generale, le statistiche più antiche offrono anche tabelle che valutano la speranza di vita escludendo dal calcolo i morti con meno di 5 anni. Così, osservando l’età mediana di morte di allora, possiamo valutare quanti siano gli anni di vita “guadagnati” oggi. Nel 1863 l’età mediana di morte non arrivava ai 50 anni, fermandosi a 49,29. Negli anni a seguire ci sono aumenti e flessioni, ma con un complessivo trend in crescita che fa registrare come età media di morte 54 anni nel 1881, quasi 60 nel 1891, 62,46 nel 1901, fino ai 71,11 del 1951. Oggi, la speranza di vita per un bambino che nasce in Italia è di 78,67 anni, mentre una bambina può sperare in 84,04 anni da vivere (dati Istat 2007).
Le cause di morte
La principale causa di morte nei primi anni dell’Italia unita, se si escludono gli incidenti, erano le malattie infettive e parassitarie, alle quali erano attribuibili quasi il 30% dei decessi, secondo i dati del 1881 (relativi soltanto ai capoluoghi di provincia). Venivano poi le malattie dell’apparato respiratorio, intorno al 15%, le malattie mentali, del sistema nervoso e organi dei sensi, che superavano il 10%, le malattie del sistema cardiocircolatorio, intorno al 5%.
Negli anni a seguire le malattie infettive fanno sempre meno paura e la loro mortalità si va progressivamente riducendo, ad esclusione della terribile epidemia di spagnola del 1918. Anche le malattie “nervose” e quelle respiratorie riducono la loro incidenza sulla mortalità, mentre cresce sempre più il rischio per le malattie del sistema circolatorio: dapprima lentamente, poi, a partire dagli anni ’60, sempre più velocemente. Ogni 100mila abitanti si registravano 188 morti per malattie cardiovascolari nel 1931, 221 nel 1941, 244 nel 1951, 282 nel 1961, che salgono a 446 nel 1971, per arrivare ai dati attuali, che attribuiscono a queste patologie quasi la metà dei decessi.
Non abbiamo finora parlato dei tumori. Nel 1881 a queste patologie si attribuiva il 2,6% dei decessi, ma il loro peso cresce negli anni seguenti fino a “incrociare”, alla metà degli anni ’40, la tendenza in calo delle morti per infezioni, avviandosi così a diventare il “male del secolo”. Ogni 100mila abitanti, si registravano 75 morti per tumori nel 1931, 93,7 nel 1941, 122 nel 1951, 154 nel 1961, 190 nel 1971 e 220 nel 1981. Una tendenza nuovamente invertita a partire dagli anni ’90, quando i progressi delle cure in campo oncologico, hanno ridotto i tassi di mortalità.
Quotidianosanita.it – 16 marzo 2011