Lo smart working nella pubblica amministrazione trova una regola di riferimento nella direttiva del dipartimento funzione pubblica approvata ieri in conferenza unificata Stato-Regioni e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. La direttiva fissa modalità e criteri di utilizzo del lavoro agile, oggetto di una legge recentemente approvata dal Parlamento e anch’essa in attesa di pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
La fissazione di tali criteri è indispensabile, in ragione del grande spazio negoziale che la legge sul lavoro agile lascia a datore di lavoro e dipendente circa le modalità di attuazione di questa forma di lavoro.
La direttiva si applica a tutte le amministrazioni pubbliche statali (come definite dall’articolo 1, comma 2, del Testo unico pubblico impiego) mentre per le altre amministrazioni pubbliche l’atto non ha natura vincolante.
Quanto ai dipendenti che possono essere utilizzati con il lavoro agile, viene chiarito che nessuna categoria o tipologia contrattuale può essere esclusa in via preventiva. In questo modo si apre la strada al coinvolgimento dei dirigente, anche se spetterà alle singole amministrazioni introdurre eventuali criteri selettivi.
Al fine di attuare in concreto il lavoro agile, si prevede l’impegno per le amministrazioni a modificare l’organizzazione spazio-temporale della prestazione di lavoro e viene fatto un riferimento specifico alla necessità di tutelare le “cure parentali”. Questa indicazione si traduce nell’invito alle amministrazioni a sperimentare lo smart working, non limitandosi a utilizzare il telelavoro, verso quei dipendenti che hanno esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
La riorganizzazione del lavoro non deve riguardare solo gli spazi fisici: l’atto ricorda la necessità di diffondere l’uso delle tecnologie digitali a supporto della prestazione lavorativa svolta a distanza.
La direttiva tiene anche conto del rischio che il lavoro agile venga utilizzato come strumento improprio per marginalizzare alcuni dipendenti. A tal fine viene ricordato che l’adesione allo smart working non deve comportare rischi di discriminazione in termini di sviluppo della professionalità dei soggetti coinvolti. Questo invito si traduce nell’impegno – a carico dei dirigenti – a promuovere specifici percorsi formativi e informativi per i lavoratori agili, che consentano loro di restare coinvolti nel contesto produttivo, nei processi di innovazione e nei percorsi di crescita professionale.
Viene ribadita la necessità di un accordo scritto, nel quale devono essere definite le modalità concrete di svolgimento della prestazione all’esterno dei locali pubblici. La direttiva invita le parti a definire uno spazio “stabile” all’esterno del luogo abituale. Quanto all’orario di lavoro, si ipotizza l’introduzione di forme di controllo e di fasce di reperibilità, da un lato, ma anche la valorizzazione dell’attività per obiettivi, dall’altro.
Infine è individuato un obiettivo minimo di diffusione: al termine di un periodo di sperimentazione, almeno il 10% del personale dovrà poter utilizzare, su richiesta, il lavoro agile.
Il Sole 24 Ore – 26 maggio 2017