I rilievi pubblicati mercoledì dalla Commissione europea sulla possibilità che la sostenibilità della spesa pensionistica dell’Italia, assicurata dalle riforme degli ultimi anni, si stia lentamente deteriorando con un conseguente, possibile maggiore rischio d’impatto sul debito pubblico, erano solo l’antipasto. Entro aprile è attesa infatti la pubblicazione di un altro documento chiave per la programmazione di bilancio e le previsioni sulla spesa sociale: l’Ageing report 2018. Il testo offrirà la cornice entro cui dovranno essere disegnate nei prossimi tre anni le previsioni e i budget legati alle politiche pensionistiche e, più in generale, alla spesa per l’invecchiamento (sanità e misure dedicate agli anziani, i disabili e i non autosufficienti; meglio note come long term care).
Il quadro macroeconomico tracciato a Bruxelles è già noto e impone, per una stabilizzazione del debito/Pil nel lungo periodo a fronte della prevista crescita della spesa previdenziale fino al 18% del prodotto tra il 2030 e il 2040, che l’avanzo primario non scenda mai sotto l’asticella del 2,2%. Ma la prospettiva potrebbe peggiorare se il nuovo Governo e il nuovo Parlamento metteranno mano alle riforme fatte fin qui. Entro aprile arriverà invece il quadro con le previsioni di budget, ovvero gli indicatori da rispettare per evitare che la crescita della spesa pensionistica superi un certo livello di impatto sul debito pubblico fissato dagli indicatori di rischiosità S1 e S2. Come è noto le previsioni della Ragioneria generale dello Stato sono meno pessimiste di quelle Ue (picco massimo della “gobba” di spesa al 16%) ma da quei numeri non si potrà prescindere nelle scelte di policy che si vorranno adottare da qui al 2020.
Ieri il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, è tornato a sottolineare che per paesi altamente indebitati come l’Italia «è importante che si resti sui binari di una politica di bilancio responsabile», aggiungendo che sugli obiettivi di deficit l’aspettativa dell’esecutivo comunitario resta per «uno sforzo strutturale dello 0,3% quest’anno, ed è quello che sarà valutato nel ciclo del Semestre europeo di maggio». Una dichiarazione cui ha fatto seguito, a breve giro, una nota del ministero dell’Economia per confermare che il lavoro per la preparazione del Def 2018 prosegue e si limiterà al solo aggiornamento delle previsioni e del quadro tendenziale di finanza pubblica, senza alcuna indicazione programmatica.
Intanto, sulle pensioni, se la macchina amministrativa continua a marciare con la registrazione delle domande di accesso alle nuove forme di flessibilità introdotte, resta in surplace l’attuazione delle ultimissime misure.
Gli ultimi dati Inps disponibili (5 febbraio) parlano di 48.331 domande pervenute per l’Ape sociale, di cui risultavano respinte 26.576 (il 55%). Per l’anticipo dei precoci, sempre al 5 febbraio, risultavano pervenute 34.642 domande, di cui 18.405 sono state respinte (53,13% del totale) mentre per l’Ape volontario, a ieri risultavano effettuate 166.386 simulazioni e 12.027 domande di certificazione (si veda altro articolo a pagina 22). Si diceva dei decreti attuativi: è atteso in Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale sui gravosi esclusi dagli aumenti dei requisiti del 2019, mentre non ci sono ancora notizie dei decreti per l’istituzione delle due commissioni tecniche previste dalla legge di Bilancio per l’individuazione delle categorie da escludere dagli aumenti automatici dei limiti di pensionamento col crescere della speranza di vita e per tentare una revisione della spesa pensionistica al netto dell’assistenza. Analoga la situazione per il decreto di chiusura di FondInps.
Il Sole 24 Ore – 9 marzo 2018