Pressing leghista e catenaccio grillino: lo schema di gioco sull’Autonomia non è cambiato, nonostante il premier si sia impegnato a chiudere l’intesa con le Regioni che ne hanno fatto richiesta «entro il 15 di febbraio». Ma il tempo passa e il risultato per ora non si sblocca. Così, in piena «zona Cesarini», Salvini ha convocato a Palazzo Chigi un vertice del Carroccio, per capire quali siano le resistenze opposte dagli alleati e trovare il modo di superarle. Deve farlo, per placare il crescente nervosismo in Lombardia e Veneto, e realizzare una riforma su cui al Nord il suo partito fonda larga parte del consenso.
Più che un incontro «tecnico» è stata una vera e propria riunione politica, durante la quale i governatori Fontana e Zaia hanno ripercorso il lavoro svolto in questi mesi con il ministro agli Affari regionali Stefani, che fin dall’inizio del suo mandato ha dovuto fare i conti con le «manovre dilatorie» dei colleghi grillini, celate dietro le continue «obiezioni tecniche» dei loro funzionari. Un atteggiamento che non è sfuggito al sottosegretario alla Presidenza Giorgetti, non entusiasta per come stanno andando le cose. Lo ha ribadito ieri al vertice, e stavolta il suo pessimismo cosmico non c’entra: ci sono le prove che i Cinquestelle non stanno tenendo fede «all’impegno esplicito preso con la firma del contratto» di governo.
A poco più di due settimane dall’«ora X», l’Autonomia resta incagliata, e sulla cessione di competenze alle Regioni si registrano il veto di Costa (Ambiente), il «no» di Bonisoli (Cultura) e il muro di Toninelli (Infrastrutture), in attesa ancora di incontrare la Grillo (Salute). Giusto per dare un quadro della situazione, i dirigenti leghisti hanno spiegato a Salvini che il ministero delle Infrastrutture non intende nemmeno discutere sulle grandi reti di trasporto, al massimo può aprire sui porti: un’offerta che al presidente della Lombardia è parsa «una presa per i fondelli».
Ora si capisce perché i governatori leghisti da settimane esprimano la loro «indisponibilità ad accordi al ribasso». E si capisce anche perché ieri abbiano ribadito che «al vertice non è emerso alcun dubbio sui tempi dell’intesa» (Fontana), e che dunque il testo definitivo andrà «predisposto entro la data del 15 febbraio» (Zaia). Era un messaggio rivolto ai grillini, un avvertimento a rompere gli indugi. Tanta nettezza è il risultato del chiarimento con il segretario del Carroccio, a cui è stato fatto presente che «il testo sarebbe pronto», ma ogni volta vengono presentati dei «rilievi tecnici»: tanti, troppi per non destare qualcosa di più di un sospetto sulla «volontà politica» di allungare i tempi.
La data per l’intesa
L’obiettivo: mantenere i tempi fissati
per l’intesa. La dead line è il 15 febbraio
D’altronde è chiaro il motivo che induce i Cinquestelle a frenare: nell’imminenza delle Europee, cedere al Nord equivarrebbe a perdere voti al Sud. E siccome, oltre al «contratto», c’è l’impegno preso da Conte sulla dead line di metà febbraio, il timore dei leghisti è che si voglia far impantanare l’Autonomia nella selva dei dicasteri, dove la resistenza alla riforma incrocia il desiderio dei ministri di non vedersi privati di una parte delle loro risorse, insieme alla volontà dei funzionari di mantenere certe prerogative. La preoccupazione è che — avanti di questo passo — la data del 15 febbraio possa slittare al 20, poi a fine mese, poi chissà a quando…
Serve pertanto un atto politico per sciogliere un nodo che è anzitutto politico. Salvini ha preso questo impegno: «Si va fino in fondo». E siccome sia il ministro Stefani sia i governatori hanno assicurato che «c’è ancora il tempo» per chiudere a metà del prossimo mese, allora il vice premier ha garantito che «si chiuderà il 15 febbraio. Non un giorno più tardi». Poi il testo verrà girato alle Camere e alle Regioni per essere votato.
Era il segnale che tutti attendevano alla riunione, sebbene la strada per l’Autonomia non sia in discesa. Come ha scritto ieri Marzio Breda sul Corriere, il Quirinale si appresta a svolgere la sua azione di vigilanza su due riforme: «la democrazia diretta e — appunto — il federalismo differenziato». C’è attesa al Colle per il testo, che dovrà tenere conto della «perequazione» tra il Nord e il Sud. Non a caso il governatore Fontana ha voluto assicurare che «non ci sarà alcuno spostamento di risorse» e «non vi saranno equilibri che si spostano». Ma il testo va ancora presentato e approvato.
Corsera