Il rinnovo dei contratti pubblici dovrà offrire aumenti più pesanti ai redditi bassi, secondo lo schema della «piramide rovesciata», sterilizzare l’effetto degli incrementi in busta paga a chi, guadagnando oggi fino a 26mila euro all’anno, riceve ogni mese il bonus da 80 euro: e fra 24 e 26mila euro, nella fascia del decalage che abbassa il bonus al crescere del reddito, ci sono secondo i calcoli governativi almeno 200mila persone.
Questa doppia tutela è al centro della direttiva che giovedì prossimo, 8 giugno, sarà sui tavoli dell’incontro fra governo, Aran (l’agenzia negoziale del pubblico impiego) e i comitati di settore. L’incontro, che riunirà nella stessa stanza tutti gli attori delle trattative, servirà a riaccendere la macchina per la firma dei quattro contratti nazionali (Pa centrale, enti territoriali, sanità e istruzione, a cui andrà aggiunto Palazzo Chigi) che sostituiscono gli undici attuali della Pa.
La direttiva chiederà ai comitati di settore di cominciare ad attuare la riforma del pubblico impiego appena approvata in via definitiva: bisognerà quindi rimettere mano alle regole del salario integrativo, semplificando la giungla di voci che l’hanno reso ingestibile, congelare i fondi negli uffici con troppi assenteisti (ieri il Senato ha approvato i pareri sul correttivo anti-furbetti) e avviare il welfare aziendale in versione pubblica, con servizi aggiuntivi (per esempio gli asili nido) su misura dei dipendenti pubblici.
Per arrivare a dama, cioè agli 85 euro medi promessi dall’accordo del 30 novembre, servono però altri 1,2 miliardi in legge di bilancio per la Pa statale. Vista l’incertezza politica, la convocazione serve a far partire in fretta le trattative, ma l’arrivo al traguardo resta legato alle sorti della manovra d’autunno.
Per arrivare agli 85 euro medi promessi dall’accordo del 30 novembre, servono però altri 1,2 miliardi in legge di bilancio per la Pa statale
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Il Sole 24 Ore – 1 giugno 2017