di Stefano Simonetti, dal Sole 24 Ore sanità. Sembra proprio che adesso non manchi più nulla per iniziare le trattative, a parte ovviamente i soldi. E quest’ultima osservazione non va presa come una battuta perché nella cosiddetta «direttiva madre » – l’atto di indirizzo inviato dalla ministra della Pa Marianna Madia all’Aran per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro del personale della Pa (sanità compresa) per il 2016-8 – si legge che «gli impegni sottoscritti rimangono cosi subordinati al reperimento delle ulteriori risorse finanziarie necessarie».
Ciò significa che per raggiungere l’importo di 85 euro medi mensili fissato dal Protocollo del 30 novembre scorso la legge di Bilancio per il 2018 dovrà trovare 900 milioni per le amministrazioni statali mentre per la Sanità dovrà per forza essere integrato il fabbisogno finanziario cui concorre lo Stato.
Con la direttiva-madre, che riguarda trasversalmente l’intera platea dei dipendenti pubblici, la ministra Madia passa il testimone ai singoli Comitati di settore che dovranno recepire le indicazioni generali e adottare il proprio Atto di indirizzo o, meglio, per la Sanità i tre distinti Atti per comparto, diligenza sanitaria (Area D) e dirigenza professionale, tecnica e amministrativa che è stata accorpata con i dirigenti regionali e delle autonomie locali nella nuova Area B delle Funzioni locali. La direttiva è composta da 17 pagine divise in tre capitoli: il primo è una premessa del tutto priva di novità che si limita a riassumere i presupposti della riapertura delle trattative. Il secondo consta di 13 paragrafi e costituisce la vera direttiva con indicazioni precise e puntuali. La terza è la direttiva adottata in veste di Comitato di settore per il Comparto Funzioni centrali come stabilisce l’articolo 41. comma 3. del decreto 165/2001. Decisamente sostanziali sono i tredici paragrafi degli indirizzi comuni che riguardano: le risorse finanziarie, gli ambiti della contrattazione collettiva. la partecipazione sindacale, il welfare contrattuale, la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, la previdenza complementare, i rapporti a tempo determinato, la somministrazione, il part-time, permessi assenze e malattia, cessione di ferie, fondi per il salario accessorio e, infine, il procedimento disciplinare.
L’aspetto delle risorse finanziarie non riserva alcuna sorpresa. Si segnala che per le amministrazioni non statali (tra cui quelle del Ssn) gli importi di 0.36%. 1,09% e 1,45% – rispettivamente per 2016, 2017 e 2018 – corrispondono in termini monetari per il personale dei livelli a 57,51 min per il 2016, 174,12 milioni per il 2017 e 231, 63 milioni per il 2018. Poiché il monte salari del comparto è circa 16 mld è agevole constatare che ai famosi 85 euro medi non si riesce ad arrivare. Inoltre, e forse è qui la sorpresa, tali importi «sono comprensivi degli oneri contributivi e dell’Irap» per cui occorre togliere il 37% circa. Sugli ambiti della contrattazione collettiva e sulla partecipazione sindacale vengono riportati in buona sostanza i principi del Protocollo del 30 novembre che amplia la partecipazione e le forme non negoziali ma, in ogni caso, partecipative. Interessante il welfare contrattuale e la conciliazione vita/lavoro. Peraltro il vincolo del costo zero – o, in ogni caso, in detrazione agli oneri contrattuali – fa presumere che le due materie troveranno poco spazio nei contratti collettivi di categoria. Sulla previdenza complementare non sembra di poter dire molto perché è stata introdotta da più di dieci anni ma non decolla affatto. Gli stessi numeri riportati nella direttiva (ha aderito soltanto il 5,58% dei dipendenti potenzialmente interessati) dimostra quanto poco interessi la questione dei Fondi pensione.
Molto sostanziale la parte dedicata ai rapporti a tempo determinato. I contratti dovranno restringere la forbice delle differenze normative dando piena attuazione al principio della non discriminazione. Sono indicati quattro ambiti di intervento: il primo (computabilità dell’anzianità) in Sanità ha già riscontro. Il secondo riguarderà presumibilmente i permessi e le aspettative oggi negati ai lavoratori a termine. Il terzo parla dei limiti quantitativi ma genera un evidente interrogativo, visto che si fa riferimento al limite massimo del 20% sancito dal decreto 81/2015 che rende assolutamente minimale la questione del precariato, dato che i circa 35.000 lavoratori a tempo determinato nel Ssn costituiscono appena il 5% della forza lavoro: allora il precariato nel Ssn è del tutto fisiologico rispetto ai potenziali 120.000 dipendenti consentiti? Il punto d) desta molte perplessità perché le ipotizzate deroghe alla durata massima di 36 mesi sono contraile alla normativa comunitaria. Molto apprezzabile invece la previsione di un limite di durata massima di tali deroghe che i Ccnl di categoria si spera fisseranno per il “personale sanitario” alla luce della nota deroga Balduzzi recepita nel decreto 81/2015. Per ciò che concerne la somministrazione si ricorda che interessa soltanto il comparto e che la pregressa disciplina contrattuale sembra già esaustiva, compreso il limite quantitativo che è del 7% del personale m servizio.
Ecco poi un paragrafo particolarmente delicato. Innanzitutto la contrattazione dovrà sistematizzare la norma legislativa introdotta dalla legge 125/2013 che disciplinava le assenze per visite mediche. Come si ricorderà la Funzione pubblica emanò una circolare che venne annullata dal Tar Lazio in quanto travalicava, secondo i giudici, le intenzioni del legislatore. Secondo il Tar la norma non aveva carattere precettivo ma programmatorio e, quindi, il contratto collettivo avrebbe dovuto specificare natura e caratteristiche di tali “permessi”.
Vengono poi affrontati i temi delle assenze per gravi patologie e della riconduzione dei permessi su base oraria: su ambedue le problematiche i contratti pregressi della sanità sono abbastanza allineati. Di particolare importanza la previsione di introdurre un termine di preavviso e una pianificazione di alcuni permessi quali, ad esempio, quelli della legge 104/1992. Infine dovrà essere attuato il dettato della legge di Stabilità 2013 sui congedi parentali a ore. Altra materia delegata da una legge (l’articolo 24 del Dlgs 151/2015) è quella della cessione di ferie e riposi rispetto alla quale la contrattazione dovrà stabilire misure, condizioni e modalità. Il paragrafo sui fondi del salario accessorio allinea gli indirizzi ai contenuti del Dlgs ex articolo 17 della legge 124/2015. Si ha ragione di credere che questa sarà la parte più rilevante dei nuovi contratti visto che si parla di un fondo unico, di percentuali minime per la performance, di un bonus per le eccellenze.
A chiusura della direttiva di parte generale troviamo le disposizioni sul procedimento disciplinare, anche esse tese ad armonizzare i contratti con le modifiche introdotte dal decreto delegato appena citato. Gli aspetti trattati dalla direttiva sono sostanzialmente esaustivi di tutte le materie in sospeso, alcune da parecchi anni. Manca però. inspiegabilmente, il riferimento ai criteri generali sulla mobilità e manca la previsione della riacquisizione del profilo pregresso per il personale in esubero che ha chiesto di essere inquadrato in un profilo inferiore. In quest’ultimo caso si tratta di una dimenticanza oppure, più verosimilmente, si è ritenuto che la fattispecie sia ormai superata dal nuovo testo dell’articolo 2013 che consente, a certe condizioni, il demansionamento. Si attendono ora gli Atti di indirizzo specifici dei quali per il comparto e la dirigenza sanitaria conosciamo già da un anno i contenuti di massima mentre per la dirigenza Pta non esiste a oggi una sola riga di indicazioni.
Stefano Simonetti – Il Sole 24 Ore sanità – 13 giugno 2017