Qualcuno ieri, confrontando i nomi delle opposte delegazioni — quella del governo e quella del Veneto — che si troveranno nelle prossime settimane a Roma, a negoziare la possibile devoluzione delle competenze Stato-Regione, faceva notare che in fondo, per risparmiare, si sarebbe potuto semplicemente allargare un qualsiasi consiglio di dipartimento di Diritto pubblico dell’Università di Padova. Tanto folta è, da una parte e dall’altra, la presenza di costituzionalisti e amministrativisti dello stesso Ateneo (vedi tavolo qui a fianco).
La questione, tuttavia, è più complessa. La composizione della squadra di consulenti a cui il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianclaudio Bressa (Pd) ha deciso di affidarsi per trattare con le Regioni maggiori forme di autonomia — una composizione, come si vede, davvero molto veneta — ha ricevuto da queste parti un’accoglienza difforme. Da quella, scettica, di chi considera la mossa del governo un tentativo di seminare zizzania (mettere i veneti gli uni contro gli altri: timeo danaos… ) a quella più ottimistica di chi vede invece nelle scelte del sottosegretario un’apertura di credito nei confronti della Regione.
Bressa — bellunese anch’egli (per altro come il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco) — ieri commentava così: «Ho scelto persone che conoscevo, ma è del tutto casuale che provengano dallo stesso territorio. Magari sono della stessa università, ma non la pensano allo stesso modo». Gli incroci, però, sono effettivamente stimolanti. Se da una parte, per esempio, vedremo nella truppa del governatore Luca Zaia il professor Mario Bertolissi, ordinario di Diritto Costituzionale a Padova; dall’altra parte ci sarà invece il suo «allievo», il professor Sandro De Nardi, anch’egli docente al Bo. E cosa dire di Chiara Cacciavillani, ordinario di Diritto Amministrativo nella stessa Università, che troveremo tra le fila del ministero, e che è figlia di Ivone Cacciavillani, decano degli amministrativisti veneti, cioè colui che, proprio assieme a Bertolissi, ha sostenuto per la Regione la causa del referendum sull’autonomia davanti alla Corte Costituzionale?
«Io però mi sentirei diminuito se mi dicessero che mi hanno chiamato solo perché sono veneto», fa sapere Paolo Costa, ex ministro del Lavori pubblici, già sindaco di Venezia, il quale figura anch’egli nel team del sottosegretario.
«Non è un problema di Veneto — sottolinea —. Io ho dato la disponibilità per le mie competenze, sono professore di Economia regionale. La questione sarà solo quella di applicare finalmente l’articolo 116 della Costituzione introdotto nel 2001. Ci abbiamo messo sedici anni a cominciare…».
Il primo incontro al ministero è fissato per giovedì prossimo, 9 novembre. Ma, come si sa non prevede, almeno per il momento,la presenza del Veneto, che ha scelto infatti una procedura più lunga per approdare al tavolo della trattativa (una vera legge, che indichi le 23 competenze che vengono reclamate, anziché una semplice mozione). Ci saranno quindi solo Lombardia e Emilia-Romagna. «Per quanto mi riguarda tutte le Regioni partiranno dallo stesso punto — afferma ancora Costa —.Vedremo quello che il Veneto chiederà nella legge. Al di là delle specifiche materie, credo comunque che lo spirito dell’articolo 116 della Costituzione, che concede forme di autonomia differenziata, sia molto chiaro. Dice questo: che le questioni non vanno affrontate in modo astratto, ma bisogna discuterle caso per caso, in modo concreto: che competenza vuole la Regione? E con quella competenza cosa vuole fare? La userebbe meglio dello Stato oppure no? Insomma, ci vogliono degli obiettivi veri. In alcuni casi, per esempio, le competenze potrebbero essere delegate anche solo temporaneamente. Vedremo con quale spirito ragionerà la controparte. Sul tema fiscale, invece, non credo che ci sia partita. Il Veneto chiede i 9/10 delle tasse? Per carità, ha diritto di rivendicarlo. Ma questo non è scritto in Costituzione, è qualcosa che appartiene agli statuti speciali».
Sul fatto che Veneto non siederà sin da subito al tavolo della trattativa il sottosegretario Bressa, che intanto ha fatto partire una ricognizione generale tra i vari ministeri sulle risorse che sostengono le varie competenze, ha invece uno sguardo più severo. «Zaia dice che vuole aspettare perché non intende firmare un’intesa-farsa? È una scemenza. È lui che è in ritardo, visto che è rimasto a guardare le stelle fino al giorno del referendum. Il suo collega Stefano Bonaccini (Emilia) è partito un anno fa a consultare le parti».
A ben vedere, per altro, la questione dei tempi rischia di assumere un peso cruciale. Le Camere, come si sa, sono prossime allo scioglimento (qualcuno dice già dopo Natale), per cui che fine farà tutto questo lavoro (un eventuale accordo, per altro, dovrà essere poi votato a maggioranza assoluta da entrambe le Camere)? «Noi cercheremo di portare più avanti possibile una trattativa — spiega Costa —. Ma la decisione comunque è politica». Bressa invece è fatalista: «Non ho la sfera di cristallo — dice — i tempi della trattativa non dipendono solo da noi». Ma dietro le quinte il pensiero è che qualsiasi sia il prossimo governo il tavolo sarà comunque riconvocato. Sconvolgimenti a parte.
Il Corriere del Veneto – Giovanni Viafora – 5 novembre 2017